W. Reich, E. Fromm, I. Sapir

Psicoanalisi e marxismo

Samonà e Savelli, Roma 1972
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Introduzione alla lettura

Il problema della compatibilità del marxismo con la psicoanalisi è nato negli anni venti del secolo scorso con la scuola di sociologia critica di Francoforte, che però lo ha affrontato quasi sempre implicitamente, dando per scontato che un approccio critico ai fatti umani non potesse prescindere da Marx (naturalmente il Marx dei Manoscritti economico-giovanili) e da Freud (in particolare il Freud de Il disagio della civiltà).

Gli articoli che pubblico, tratti da un saggio ormai introvabile, danno la misura dell’intensità del dibattito a cavallo degli anni trenta i cui protagonisti sono Reich e Fromm. Nel saggio risulta anche un lungo articolo di I. Sapir, che dà pedissequamente voce alle critiche del marxismo ortodosso nei confronti della psicanalisi. Reich e Fromm, invece, si confrontano ad un livello degno della loro fama.

Reich insiste nell’identificare nella dialettica materialistica l’anello di congiunzione tra marxismo e psicoanalisi. Anticipando Marcuse, egli sostiene che il principio di piacere, scoperto da Freud, è un potenziale rivoluzionario perché esso spinge gli esseri umani verso la costruzione di un mondo affrancato dalla miseria, dalla frustrazione, dalle tradizioni, ecc.

Il problema è che in Freud la dialettica non esiste se non sotto forma di conflitto irriducibile tra l’eros e l’istinto di morte e tra le pulsioni e le esigenze sociali. E’ fuor di dubbio che, ne Il disagio della civiltà, Freud accenna all'eccessiva repressione della pulsione sessuale nel contesto della società dell’epoca, ma egli è rimasto sempre e comunque fermo al principio per cui , per sussistere, la società deve vincolare la sessualità e più ancora l’istinto di morte ad un qualche controllo.

Reich sembra ignorare questo aspetto e coglie, nel pensiero di Freud, soprattutto la rivendicazione materialistica di una sessualità mortificata dalla cultura. In conseguenza di questo egli identifica nella rivoluzione sessuale un cambiamento di grande portata, destinato a confluire con la lotta di classe di un proletariato estenuato dal lavoro e dall’angusto orizzonte della sopravvivenza.

Anche Fromm parte dalla teoria delle pulsioni, ma li distingue nettamente dagli istinti per la loro flessibilità e apertura all’interazione con l’ambiente storico-sociale. Si tratta di una distinzione che non trova alcun riscontro nell’opera di Freud, che ha sempre identificato nell’Es pulsionale l’“inferno” con cui gli esseri umani devono convivere. Alla luce del presupposto della plasticità delle pulsioni, è agevole per Fromm identificare il punto di contatto tra marxismo e psicoanalisi nello sviluppo dell’individuo, che avviene sempre e comunque in un contesto socio-storico determinato, che poi tende a confluire in una delle visioni ideologiche del mondo esistenti nel suo contesto a seconda della classe cui appartiene.

Lo sviluppo individuale dà luogo alla formazione di un carattere, che deve necessariamente fare i conti con il carattere sociale, vale a dire con un modello di normalità data. Laddove questo modello contrasta più o meno gravemente con il principio del piacere e i bisogni individuali, si creano le premesse perché il marxismo e la psicoanalisi confluiscano in un cambiamento radicale dello stato di cose esistente che può esitare in un tragitto di liberazione individuale e collettivo.

Nonostante alcune brillanti intuizioni, non è difficile identificare il punto debole delle argomentazioni di Reich e di Fromm. Paradossalmente, il punto debole in comune tra marxismo e psicoanalisi è il problema, insomma, della natura umana: infinitamente plastica per Marx, che la intende come un prodotto storico, vincolata, viceversa per Freud alla rigida e cieca pressione delle pulsioni.

Oggi il problema non si pone più in questi termini antitetici e incompatibili. Nessun marxista non ortodosso (ma di ortodossi ormai ce ne sono pochi) rifiuta di riconoscere che la specie umana ha un bagaglio genetico che pone vincoli allo sviluppo, anche se la fenotipizzazione per cui ogni individuo è unico e irripetibile lascia pensare ad un grado di libertà piuttosto elevato nell’interazione con l’ambiente. Pochi psicoanalisti ortodossi, peraltro, si riconducono alla teoria pulsionale freudiana nella sua versione originale. C’è spazio, dunque, per un nuovo confronto alla luce dei dati forniti dalla neurobiologia, in particolare per quanto concerne l’empatia, che attesta l’originaria apertura dell’umano all’umano, e il senso di dignità e di giustizia, che ha di sicuro un fondamento genetico, dato che compare in bambini anche piuttosto piccoli.

Il nodo da sciogliere, del resto, non sembra neppure quello della natura umana, bensì quello della tendenza sistematica della coscienza alla mistificazione, vale a dire, sul fronte interno, alla rimozione di ciò che a livello cosciente contrasta con il suo desiderio di unità e di normalità, e, sul fronte esterno, all’acquisizione irriflessiva di un modo di vedere (il senso comune) funzionale all’accettazione dello status quo.

La rivoluzione comunista è venuta ad urtare contro la mentalità piccolo-borghese dei piccoli contadini russi, secolarmente impregnati di fatalismo religioso e animati, dopo l’abolizione della servitù della gleba, da un crescente bisogno di sicurezza e di agiatezza. Marx aveva previsto qualcosa del genere, ma non sarebbe mai stato d’accordo con lo sterminio di massa di una classe sociale (anche se priva di coscienza di classe).

La rivoluzione psicoanalitica è venuta, invece, ad urtare contro una tradizione egocentrica e razionale che non impedisce alle persone di sapere che esiste l’inconscio, ma - al di là dei giochi linguistici riferiti ai lapsus e all’Edipo -, non comporta in genere alcun orientamento introspettivo e tanto meno la consapevolezza che i comportamenti coscienti sono in gran parte determinati dall’inconscio.

C’è ancora molto lavoro da fare per integrare le due maggiori teorie demistificanti.

 

Materialismo dialettico e psicoanalisi (1929)
di W. Reich
Osservazioni preliminari

Il compito di questo saggio è di ricercare se e fin dove la psicoanalisi freudiana ha delle relazioni con il materialismo dialettico di Marx e di Engels. Dalla risposta che daremo a questa domanda dipenderà il presupposto di base per una discussione delle relazioni della psicoanalisi con la rivoluzione proletaria e con la lotta di classe. Gli scarsi contributi al tema «psicoanalisi e socialismo» finora esistenti nella letteratura scientifica, difettano per il fatto che la discussione manca di un corrispondente orientamento nella psicoanalisi o nel marxismo. Da parte marxista la critica dell'impiego delle cognizioni psicoanalitiche alla sociologia è stata parzialmente giustificata. I pochi contributi degli psicoanalisti a questo tema mancano, invero, di un corrispondente orientamento quanto ai problemi fondamentali del materialismo dialettico, e trascurano inoltre completamente il problema centrale della sociologia marxista, la lotta di classe. Perciò sono inutilizzabili per il sociologo marxista, così come una trattazione di problemi psicologici è senza significato per gli psicoanalisti, se non considera i fatti dello sviluppo sessuale infantile, della repressione sessuale, della vita psichica inconscia e della resistenza sessuale.

L'opera più infelice di questo tipo è il lavoro di Kolnai, Psicoanalisi e sociologia; un autore, che frattanto, senza esser mai stato un analista vero e proprio, è approdato alle posizioni di Scheler dopo essersi sbarazzato ufficialmente della psicoanalisi (purtroppo non prima della stesura del suo pamphlet sociologico), in quanto — come ha detto — non corrispondeva più alle sue idee. Il suo lavoro è pieno zeppo di interpretazioni false, metafisiche e idealistiche dei fatti scoperti dalla psicoanalisi e non ha importanza per la nostra trattazione. Erroneamente egli è stato presentato dallo Jurinetz, che si è servito del lavoro di Kolnai per fare la critica della psicoanalisi, come «uno dei più ferventi discepoli di Freud».

Non possiamo qui addentrarci in merito al lavoro dello Jurinetz, ma, come chiarificazione preliminare, dobbiamo dire che la critica negativa della psicoanalisi da parte dei teorici marxisti è legittima in due punti.

1) Non appena si abbandona il terreno vero e proprio della psicoanalisi e, in particolare, si tenta di applicarla ai problemi sociologici, essa viene subito trasformata in una Weltanschauung; e si presenta come Weltanschauung psicologica, che predica il dominio della ragione di contro alla ideologia marxista, con la pretesa di poter preparare una migliore esistenza sociale attraverso una regolamentazione razionale dei rapporti umani e attraverso l'educazione al controllo consapevole della vita istintiva. Questo razionalismo utopistico, che inoltre tradisce una concezione individualistica dei fenomeni sociali, non è né originale né rivoluzionario, e va indubbiamente al di là dei poteri della psicoanalisi. Questa infatti è, secondo la definizione del suo fondatore, un metodo psicologico che cerca di chiarire e descrivere con strumenti scientifici la vita psichica come un particolare settore della natura. Poiché la psicoanalisi non è una Weltanschauung, né può svilupparne alcuna, non può neppure sostituire e integrare la concezione materialistica della storia. In quanto scienza della natura, essa è diversa dalla concezione della storia di Marx.

2) L'oggetto vero e proprio della psicoanalisi è la vita psichica dell'uomo socializzato. Quella della massa ha importanza per essa solo in quanto si manifestano nella massa fenomeni individuali (per esempio il problema del Capo), e inoltre in quanto essa può chiarire, in base alle sue esperienze sull'individuo, fenomeni dell'«anima della massa», quali spavento, panico, ubbidienza, ecc. Però sembra che per essa il fenomeno della coscienza di classe sia difficilmente accessibile, e che problemi come quello dei movimenti delle masse, della politica, dello sciopero, che appartengono alla scienza sociologica, non possano essere oggetto del suo metodo; quindi essa non può sostituire la sociologia né può produrre una dottrina sociale. Ma può benissimo diventare una scienza ausiliaria della sociologia sotto forma di psicologia sociale. Può svelare i motivi irrazionali, che hanno spinto la psiche di un capo ad aderire al movimento socialista o a quello nazionalista; può indagare l'efficacia delle ideologie sociali sullo sviluppo psichico dell'individuo. I critici marxisti hanno ragione quando rimproverano a taluni rappresentanti della psicoanalisi di cercar di chiarire ciò che con questo metodo non può esser chiarito; hanno però torto di identificare il metodo con coloro che ne fanno uso, e di dare a quest'ultimo la colpa di errori in cui costoro incorrono.

I due punti sopra trattati portano ad una distinzione necessaria, ma che nella letteratura marxista non appare sempre chiaramente, fra il marxismo in quanto dottrina sociologica, in quanto scienza, e il marxismo in quanto metodo di ricerca e prassi ideologica del proletariato. La sociologia marxista è il risultato della applicazione del metodo marxista nell'ambito dell'esistenza sociale. In quanto scienza la psicoanalisi è sullo stesso piano della sociologia marxista: l'una tratta i fenomeni psicologici, l'altra i fenomeni sociali. E solo in quanto nella vita psichica siano da indagare fatti sociali o, al contrario, nella esistenza sociale siano da indagare fatti psicologici, si rapportano volta a volta l'una all'altra come scienze ausiliarie. La sociologia non può chiarire nessun fenomeno nevrotico, nessun disturbo della capacità lavorativa o della attività sessuale. Diversamente vanno le cose a proposito del materialismo dialettico. Qui esistono soltanto due possibilità: o la psicoanalisi è in contraddizione con esso, dal punto di vista del metodo, cioè è idealistica e adialettica, oppure si può dimostrare che la psicoanalisi, anche senza saperlo, come tante altre scienze, ha impiegato effettivamente nel proprio campo il materialismo dialettico e ha sviluppato le teorie corrispondenti ad esso. Quanto al metodo, la psicoanalisi può contraddire il marxismo o trovarsi in armonia con esso. Nel primo caso, se i suoi risultati non fossero dialettico-materialistici, il marxista la dovrebbe rifiutare, nel secondo caso saprebbe di trovarsi di fronte ad una scienza che non è in contraddizione con il socialismo.

Da parte marxista sono state fatte due obiezioni contro la psicoanalisi e la sua accettazione in un paese socialista:

1) Che essa sia un fenomeno tipico della decadenza della borghesia. Questa obiezione tradisce una crepa nel pensiero dialettico riguardo alla psicoanalisi. Non è stata forse la stessa sociologia marxista un «fenomeno di decadenza della borghesia»? Essa è stata un «fenomeno di decadenza», in quanto non sarebbe mai potuto sorgere senza la contraddizione fra le forze produttive e i rapporti capitalistici di produzione, ed è stata la presa di coscienza e al tempo stesso il germe ideologico del nuovo ordinamento economico che si sviluppava nel grembo del vecchio. La posizione sociologica della psicoanalisi sarà trattata esaurientemente più avanti, ma questa obiezione può essere confutata nel migliore dei modi con le parole del marxista Wittfogel.

2) Che essa sia una scienza idealistica. I critici, che avessero avuto una migliore conoscenza specifica della psicoanalisi, non avrebbero dato questo giudizio e un po' di obiettività nei confronti di questa disciplina non avrebbe fatto dimenticare loro che ogni scienza, per quanto abbia un fondamento materialistico, è soggetta, e non può non essere soggetta, nella società borghese a deviazioni idealistiche. Nella elaborazione della teoria, che si distanzia, anche se di poco, dall'esperienza, una deviazione idealistica è comprensibile e non dice nulla sulla vera natura della scienza. Jurinetz ha messo molto impegno nel sottolineare le deviazioni idealistiche della psicoanalisi; certamente tali deviazioni vi sono, e in grande numero, ma si tratta di appurare quelli che sono gli elementi della teoria, le concezioni fondamentali dei processi psichici.

La psicoanalisi viene ricordata molto spesso in rapporto alla discussione sulle tendenze politiche riformiste (Thalheimer, Deborin). Il motivo di ciò risiede nel fatto che i teorici riformisti si richiamano volentieri alla psicoanalisi ed effettivamente, de Man ha contrapposto la psicoanalisi al marxismo in maniera reazionaria. Ma io affermo — e mi posso richiamare qui ai marxisti di sinistra — che si può, se si vuole, contrapporre in modo reazionario anche il «marxismo» contro il marxismo. A un vero conoscitore della psicoanalisi non sarebbe mai accaduto di mettere in relazione la psicoanalisi di de Man con la psicoanalisi di Freud, come ha fatto Deborin. Che cosa ha da fare il socialismo sentimentale di de Man con la teoria della libido, anche se egli si richiama alla psicoanalisi che non ha mai capito? Nell'ultimo paragrafo cercherò di dimostrare che, con la psicoanalisi nelle mani dei riformisti, accade la stessa cosa che si verifica per il marxismo vivente, cioè appiattimento e annacquamento.

Intendiamo trattare i seguenti problemi nell'ordine:

— 1) I fondamenti materialistici della teoria psicoanalitica.

— 2) La dialettica della vita psichica.

— 3) La posizione sociologica della psicoanalisi.

Le nozioni materialistiche della psicoanalisi ed alcune interpretazioni idealistiche

Prima di mostrare il grande progresso della psicoanalisi in senso materialistico, nei confronti della psicologia prevalentemente idealistica e formalistica che l'ha preceduta, dobbiamo separarci da una concezione «materialistica» della vita psichica, erronea e assai diffusa anche negli ambienti marxisti. Si tratta del materialismo meccanicistico come è stato rappresentato da Büchner e dai materialisti francesi del secolo decimottavo, e come sopravvive nelle concezioni del marxismo volgare. Esso afferma che i fenomeni psicologici non sono materiali in se stessi, e che un materialista conseguente, negli eventi psichici, non debba scorgere null'altro che eventi fisici. A tali materialisti il concetto della «psiche» appare come un errore idealistico e dualistico, ciò che senza dubbio è una estrema reazione all'idealismo platonico che ha trovato la sua continuazione nella filosofia borghese. Essi affermano che non la psiche e un qualcosa di reale e di materiale, ma i dati fisici corrispondenti, quindi non quelli soggettivi, bensi quelli oggettivi, misurabili e ponderabili. L'errore meccanicistico consiste nel fatto che si identifica ciò che è misurabile, ponderabile, palpabile, con ciò che è materiale.

«Il difetto principale di tutte le teorie materialistiche del passato — dice Marx — è che l'oggetto, la realtà e il mondo sensibile sono considerati soltanto nella forma dell'oggetto o dell'idea e non soggettivamente, come attività umana sensibile, come prassi. Per questo è avvenuto che l'aspetto attivo è stato sviluppato dall'idealismo in contrapposizione al materialismo, ma soltanto astrattamente, perché l'idealismo non conosce naturalmente l'attività reale, pratica, in quanto tale. Feuerbach vuole degli oggetti realmente distinti da quelli del pensiero; ma non considera l’ attività umana stessa come attività obiettiva».

Il problema dell'obiettività, quindi della realtà materiale dell'attività psichica (del «pensiero umano») è considerato da Marx un problema meramente scolastico, se lo si isola dalla pratica. Ma:

«La dottrina materialistica che gli uomini sono prodotti delle circostanze e dell'educazione, che quindi uomini diversi sono prodotti di altre circostanze e di una diversa educazione, dimentica che le circostanze vengono mutate dall'uomo e che l'educatore stesso deve venire a sua volta educato».

Marx non parla affatto di una negazione della realtà materiale dell'attività psichica. Ma se si riconoscono i fenomeni della vita psichica umana come praticamente materiali, allora bisogna anche ammettere la possibilità di una psicologia materialistica, pur se non spiega l'attività psichica mediante processi organici. Se non si accetta questo punto di vista, non esiste alcuna base per una discussione marxista su di un metodo puramente psicologico. Allora, conseguentemente non si può parlare di coscienza di classe, di volontà rivoluzionaria, di ideologia religiosa ecc., ma bisogna aspettare che la chimica abbia espresso in una formula i corrispondenti processi somatici, oppure che la riflessologia abbia scoperto i corrispondenti riflessi. Poiché una tale psicologia rimane necessariamente immobile in un formalismo causale e non dà accesso al contenuto pratico delle idee e dei sentimenti, non si arriverà affatto ad una migliore intelligenza di che cosa sia il piacere o la sofferenza o la coscienza di classe. Queste considerazioni ci spingono a ritenere che, nell'ambito del marxismo, è indispensabile una psicologia che analizzi i fenomeni psichici con un metodo psicologico e non organico.

Certo per chiamare materialistica una psicologia non basta che essa si occupi dei dati materiali della vita psichica. Piuttosto essa dovrà prendere posizione univocamente quanto all'alternativa, se considerare l'attività psichica come un dato metafisico, cioè al di là di quello organico, oppure come una funzione secondaria che si sviluppa dall'organismo ed è legata alla sua esistenza. Secondo Engels, materialismo e idealismo si distinguono per il fatto che questo concepisce lo spirito come primario, mentre per quello è primaria la materia (organica), la natura, e sottolinea che egli non adopera i due concetti in nessun altro senso. Un'altra distinzione è stata presa ad oggetto delle sue ricerche gnoseologiche da Lenin in Materialismo ed empiriocriticismo, cioè la posizione di fronte al problema, se il mondo reale sussista fuori e indipendentemente dal nostro pensiero (materialismo), oppure se esso esista soltanto nella nostra testa in quanto rappresentazione, percezione e sensazione (idealismo). Una terza distinzione, che è in rapporto con quelle ricordate, consiste nel chiedersi se si ritiene che il corporeo dia vita allo psichico oppure il contrario.

Invece di dare una risposta di carattere generale a queste domande a nome della psicoanalisi, iniziamo con l'esposizione delle sue teorie fondamentali. Il giudizio se i fatti, sui quali si basa la psicoanalisi, sono esatti, oppure no, potrà essere dato soltanto dalla critica empirica e non da quella metodologica. Fra i marxisti, Thalheimer è incorso nell'errore di criticare empiricamente la teoria psicoanalitica e di contestare le sue scoperte senza averne una sufficiente conoscenza specifica, mentre Jurinetz ha fatto uso soltanto di una critica metodologica, e certo senza avere una sufficiente conoscenza delle acquisizioni empiriche della psicoanalisi. Noi non cercheremo di dimostrare le teorie psicoanalitiche: una tale impresa esulerebbe dall'ambito di questo lavoro e sarebbe, per di più, inutile. Le prove si possono trovare unicamente con la propria esperienza empirica.

La dottrina psicoanaliìica degli istinti

L'ossatura della teoria psicoanalitica è la sua dottrina degli istinti e l'elemento più solido di quest'ultima è particolarmente la teoria della libido, la dottrina della dinamica dell'istinto sessuale.

L'istinto è un «concetto-limite fra lo psichico e il somatico». Per libido Freud intende l'energia dell'istinto sessuale. La fonte della libido, secondo Freud, è un processo chimico dell'organismo, che non è ancora completamente conosciuto, particolarmente nell'apparato sessuale e nelle cosiddette «zone erogene», parti del corpo che sono particolarmente eccitabili sessualmente e che sono punti dove si concentra l'eccitazione sessuale corporea. Su queste basi della eccitazione sessuale si innalza la potente sovrastruttura delle funzioni psichiche della libido, che resta legata a quelle che sono le sue fondamenta, ed insieme con esse si modifica — sia qualitativamente che quantitativamente — come accade nella pubertà, e comincia a dissolversi con esse, per esempio, dopo la menopausa. Nella coscienza, la libido si riflette come una tendenza fisica e psichica alla soddisfazione sessuale, vale a dire verso la scarica di piacere. Freud ha espresso chiaramente la speranza che un giorno la psicoanalisi venga basata sul suo fondamento organico; e l'idea di un chimismo sessuale svolge un ruolo essenziale, in quanto nozione ausiliaria, nella sua teoria della libido; tuttavia la psicoanalisi metodicamente non può avvicinarsi ai processi organici concreti: ciò rimane riservato alla fisiologia. La natura materiale del concetto di libido di Freud si rileva, inoltre, molto bene dal fatto che i suoi insegnamenti sulla sessualità infantile sono stati più tardi confermati dai fisiologi che hanno scoperto un'evoluzione dell'apparato sessuale organico già nel neonato.

Freud ha tolto di mezzo l'idea che l'impulso sessuale «si risvegli nella pubertà» e ha mostrato che la libido, fin dalla nascita, percorre determinati stadi di sviluppo, finché non raggiunge lo stadio della sessualità genitale. Egli ha esteso il concetto della sessualità, includendovi tutte quelle funzioni di piacere che non sono connesse con i genitali, ma che indubbiamente sono di natura sessuale, come l 'erotismo orale, anale, ecc. Queste forme infatti «pregenitali» dell'attività sessuale vengono più tardi subordinate al primato genitale, al dominio dell'apparato sessuale vero e proprio.

Ogni fase di sviluppo della libido, del cui carattere dialettico parleremo più oltre, è contrassegnata dalle condizioni di esistenza del bambino; così per esempio la fase orale si sviluppa con l'assunzione del cibo, quella anale con le funzioni dell'evacuazione e con l'educazione alla pulizia. Fino a Freud la scienza, prigioniera della morale borghese, aveva sorvolato su questi fatti e aveva confermato la concezione popolare della «purezza» infantile. La repressione sessuale sociale era diventata un ostacolo alla ricerca.

Fra gli istinti Freud ha distinto due gruppi principali che non sono, dal punto di vista psicologico, ulteriormente decomponibili: l'istinto di conservazione e l'istinto sessuale, in conformità alla distinzione corrente di fame e amore. Tutti gli altri istinti, la volontà di potenza, l'ambizione, l'avidità di guadagno, per Freud non sono altro che formazioni secondarie,- derivate da questi due bisogni fondamentali. Per la psicologia sociale dovrebbe avere una grande importanza la proposizione freudiana che l'istinto sessuale si manifesta in primo luogo appoggiandosi sull'istinto di nutrizione, se si riuscisse a trovare una correlazione con tesi analoghe di Marx, e cioè che nella esistenza sociale il bisogno di alimentazione è il fondamento delle funzioni sessuali della società.

Più tardi Freud ha contrapposto all'istinto sessuale l'istinto di distruzione e poi ha attribuito l'istinto di nutrizione all'Eros, quale funzione dell'amore di sé (narcisismo della autoconservazione). Il rapporto tra la nuova suddivisione degli istinti e quella precedente non è stato ancora chiaramente determinato. I nuovi concetti della teoria degli istinti: Eros — istinto di morte (istinto sessuale — istinto distruttivo) sono stati formati in analogia alle due funzioni fondamentali della sostanza organica, assimilazione (costruzione) e disassimilazione (distruzione); l'Eros comprende tutte quelle tendenze dell'organismo psichico che edificano, raccolgono, spingono al progresso, mentre l'istinto di distruzione comprende tutte quelle tendenze che distruggono, disperdono e tendono a riportare indietro allo stato originario. Lo sviluppo psichico risulta quindi da una lotta tra queste due opposte tendenze, ciò che corrisponde a una concezione essenzialmente dialettica dello sviluppo. La difficoltà tuttavia è una altra. Mentre la base corporea dei bisogni sessuali e di alimentazione è palese, il concetto dell'istinto di morte manca di un altrettanto chiaro fondamento materiale, poiché il richiamo al processo organico della disassimilazione rappresenta per ora più una analogia formale che una affinità effettiva di contenuto.

L'istinto di morte è materialistico solo nella misura in cui risulta in rapporto reale con i processi di autodistruzione dell'organismo. Ma non si può negare che il suo contenuto poco chiaro e la impossibilità di comprenderlo in quanto tale, lo fanno diventare facilmente il ricettacolo di speculazioni idealistiche e metafisiche sulla vita psichica. Esso ha già causato nella psicoanalisi diversi malintesi e ha portato a formulazioni teoriche finalistiche e a valutazioni esagerate delle funzioni morali, ciò che noi consideriamo una deviazione idealistica della psicoanalisi. Secondo un giudizio dello stesso Freud, «l'istinto di morte» è una ipotesi extraclinica, ma non è un caso che venga impiegato così spesso e volentieri e che abbia aperto la porta a speculazioni inutili nella psicoanalisi. Come reazione all'orientamento idealistico, che si è sviluppato nella psicoanalisi con le nuove ipotesi sugli istinti, ho tentato di comprendere l'istinto distruttivo come dipendente anch'esso dalla libido e di situarlo all'interno della teoria materialistica della libido. Questo tentativo si fonda sull'osservazione clinica che la disposizione all'odio di un uomo e i suoi sentimenti di colpa dipendono, almeno nella loro intensità, dallo stato dell'economia libidica, che l'insoddisfazione sessuale aumenta l'aggressività, la soddisfazione la diminuisce. Secondo questa concezione, l'impulso distruttivo è psicologicamente una reazione alla mancanza di soddisfazione istintuale, e la sua base corporea è la dislocazione dell'eccitamento libidico sul sistema muscolare.

Non si può dubitare però che l'istinto aggressivo sia anche uno strumento dell'istinto di nutrizione, e che esso aumenti in particolare se il bisogno di nutrizione non è sufficientemente soddisfatto. L'istinto distruttivo, secondo la mia interpretazione, è una formazione tarda, secondaria, dell'organismo, che viene determinata dalle condizioni in cui l'istinto di nutrizione e la sessualità vengono soddisfatti.

Il regolatore della vita istintiva è il «principio del piacere-dispiacere». Ogni istinto aspira al piacere e tenta di evitare il dolore. La tensione dolorosa del bisogno può essere eliminata soltanto dalla soddisfazione del bisogno. La meta dell'istinto è quella di abolire la tensione istintuale, eliminando l'eccitazione alle sue origini. Questa soddisfazione è piacevole. Un'eccitazione fisica nella zona genitale condiziona uno stimolo che produce un bisogno (un istinto) di eliminare questa tensione. Una tensione negli organi della nutrizione produce la fame e spinge a mangiare. Questa prospettiva causale include in sé quella finale, poiché la meta a cui tende l'istinto è determinata dalla fonte dell'eccitazione. Qui la psicoanalisi, in quanto dottrina materiali- stico-causale, si trova in contrapposizione con la psicologia individuale di Alfred Adler, che è orientata solo finalisticamente.

Poiché tutto ciò che reca piacere attrae e tutto ciò che reca dispiacere allontana, il principio del piacere comporta un movimento e un cambiamento della situazione esistente. L'origine di questa funzione è l'apparato istintuale organico, particolarmente il chimismo sessuale. Una volta soddisfatto un bisogno, sopravviene un periodo di riposo, finito il quale, come una molla, l'apparato istintuale conosce una nuova tensione. Come fondamento di questa tensione, si devono considerare i processi del metabolismo. Il modo di operare dei due bisogni umani fondamentali però assume la sua forma vera e propria soltanto attraverso l'esistenza sociale dell'individuo, in quanto questa limita le soddisfazioni istintuali. Tutte le limitazioni e le costrizioni sociali, che riducono i bisogni o ne differiscono le soddisfazioni, sono state conglobate da Freud nella formula del «principio della realtà». Questo principio entra in contrasto col principio del piacere in quanto vieta del tutto certe soddisfazioni, e lo modifica parzialmente costringendo l'individuo a una soddisfazione sostitutiva o al rinvio di una soddisfazione. Il lattante può ricevere la sua alimentazione solo in certe ore, la ragazza giunta alla maturità, nella società odierna, non può soddisfare subito i suoi naturali bisogni sessuali. Gli interessi economici (un borghese direbbe «culturali») la costringono a conservare la sua castità fino al matrimonio, se non vuole rischiare di essere messa al bando e se non vuole rendere più difficile la ricerca di un marito. Il freno alla diretta soddisfazione erotico-anale, così come lo pratica il bambino, è parimenti un effetto del principio della realtà.

La definizione che il principio della realtà è una esigenza sociale rimane formalistica, se non comporta concretamente l'osservazione che il principio della realtà, così come oggi noi lo conosciamo, è il principio della società capitalistica, cioè basata sull'economia privata. Riguardo alla concezione del principio della realtà, nella psicoanalisi vi sono numerose deviazioni idealistiche. Spesso il principio della realtà viene presentato come un dato assoluto. Con l'adattamento alla realtà si intende semplicemente l'adattamento alla società, il che, applicato alla pedagogia o alla terapia delle nevrosi, rappresenta senza dubbio una formulazione conservatrice. In concreto: il principio della realtà dell'epoca capitalistica esige dal proletario una forte limitazione dei suoi bisogni, non senza richiamarsi agli obblighi religiosi di umiltà e di modestia. Esso esige anche la forma sessuale monogamica e altre cose ancora. Tutto ciò trova la sua base nei rapporti economici; la classe dominante ha un principio della realtà che serve a mantenere il suo dominio. Educare il proletario a questo principio della realtà, presentarglielo come assolutamente valido in nome della cultura, significa accettare il suo sfruttamento, accettare la società capitalista.

Occorre chiarire che il concetto della realtà, così come oggi, nella psicoanalisi, viene inteso effettivamente da molti, corrisponde, anche se inconsciamente, a un atteggiamento conservatore e quindi in contrasto con il carattere obiettivamente rivoluzionario della psicoanalisi. Il principio della realtà aveva prima altri contenuti e si trasformerà parallelamente all'ordinamento della società.

Anche i contenuti concreti del principio del piacere naturalmente non sono assoluti, essi cambiano insieme con l'esistenza sociale.

In un'epoca in cui così grande attenzione si dedica alla pulizia, la soddisfazione anale deve essere diversa, e cioè minore, e il desiderio di essa più forte che in una società primitiva; e tutto ciò si esprime anche qualitativamente nella produzione di determinati tratti di carattere. Si pensi al senso estetico, che si sviluppa dall'erotismo anale, e alla differenza del suo significato nell'epoca borghese e in una società primitiva o nel medioevo. Quali siano i contenuti della tendenza al piacere che vengono sottolineati più fortemente, e quali più debolmente, dipende anche dalla classe alla quale il bambino appartiene. Per esempio, le tendenze anali sembrano di gran lunga più marcate nella borghesia che nel proletariato, mentre gli impulsi genitali sono più intensi nel proletariato. Ciò dipende tra l'altro anche dalla educazione e dalle condizioni di abitazione.

Nella costituzione biologica la differenza non dovrebbe essere molto grande né decisiva. Ma l'ambiente sociale comincia a formare il contenuto del principio del piacere fin dalla nascita. E se delle differenze nelle condizioni di alimentazione agiscano già nell'embrione sulla costituzione istintuale, e se influiscano sull'intensità e la qualità delle tendenze, questo è un problema per indagini future.

La teoria dell'incoscio e della repressione

Freud ha distinto, nell'apparato psichico, tre sistemi: 1) Il conscio, che comprende la funzione percettiva dello apparato sensoriale e tutte le rappresentazioni e i sentimenti che sono consci. 2) Il preconscio, che comprende tutte quelle rappresentazioni e quegli atteggiamenti che non sono momentaneamente nella coscienza, ma possono diventare consci in ogni momento. Questi due sistemi erano già noti alla psicologia preanalitica. Tutto quello che i ricercatori non psicoanalisti designano come «inconscio» («paraconscio», «subconscio» ecc.) appartiene completamente al sistema freudiano del preconscio. 3) La scoperta vera e propria di Freud concerne l'inconscio, la cui caratteristica è data dal fatto che i suoi contenuti non possono diventare consci, perché una censura «preconscia» non ne permette l'accesso alla coscienza. Questa censura non ha niente di mistico, bensì comprende in sé proibizioni e comandi assunti dal mondo esterno, e divenuti essi stessi inconsci.

L'inconscio comprende non solo rappresentazioni e desideri proibiti che non possono diventare consci, ma anche (verosimilmente) rappresentazioni ereditate, cui corrispondono i simboli. E che anche l'inconscio si muti con il tempo, è dimostrato dall'interessante esperienza clinica che, con lo sviluppo della tecnica, esso si arricchisce di nuovi simboli; così molti pazienti, nell'epoca degli Zeppelin, hanno sognato aeronavi, quali rappresentazioni dell'organo sessuale maschile.

Poiché nel corso della ricerca è stato chiarito che l'inconscio contiene molto più di ciò che è stato represso, Freud ha deciso di apportare un'integrazione alla sua teoria della struttura dell'apparato psichico. Egli ha distinto l'Es, l'io, e il Super-io. L'Es non rappresenta qualcosa che è al di là dei sensi, bensì l'aspetto biologico della personalità. Una sua parte è costituita dall'inconscio nel senso già chiarito, il represso vero e proprio.

Che cosa è, ora, la repressione? E' un processo che avviene fra l'io e gli impulsi dell'Es. Ogni fanciullo venendo al mondo porta con sé degli istinti e acquisisce nella sua infanzia desideri che non può soddisfare, perché la società più ampia e quella più ristretta, la famiglia, non glielo permette (desideri incestuosi, anali, esibizionistici, sadici, ecc.)- La realtà sociale esige, per opera dell'educatore, che il fanciullo reprima questi istinti. Al bambino, che dispone di un io debole e che segue prevalentemente il principio del piacere, ciò riesce per lo più solo bandendo dalla propria coscienza questi desideri, preferendo non saperne nulla. Tali desideri diventano inconsci mediante la repressione. Un altro modo, socialmente più importante, di eliminare i desideri che non si possono soddisfare è la sublimazione, che costituisce la controparte della repressione: vale a dire, invece di essere represso, l'istinto viene meramente deviato verso un'attività socialmente possibile.

Vediamo, quindi, che la psicoanalisi non può concepire il bambino senza la società, per essa egli esiste solo come un essere socializzato. L'esistenza sociale agisce incessantemente sugli istinti originari, arginandoli, trasformandoli e promuovendoli. In questo i due istinti fondamentali si comportano diversamente. La fame è più rigida e più inesorabile dell'istinto sessuale e spinge più violentemente e più sollecitamente verso la soddisfazione; non può in nessun caso essere repressa come l'istinto sessuale. L'impulso sessuale è modificabile, plastico, sublimabile, le sue tendenze parziali sono trasformabili nel loro contrario, senza che tuttavia possano rinunciare completamente alla soddisfazione. L'energia che viene utilizzata per impieghi sociali, anche per quelli che soddisfano l'istinto nutritivo, nasce dalla libido. Essa è il motore istintuale dello sviluppo psichico non appena cade sotto l'influsso della società.

La causa della repressione è l'istinto di autoconservazione dell'io. Questo domina l'istinto sessuale, e dal conflitto fra i due risulta lo sviluppo psichico. La repressione, prescindendo dal suo meccanismo e dalle sue conseguenze, è un problema sociale, poiché i contenuti e le forme della repressione dipendono dall'esistenza sociale dell'individuo. Questa esistenza sociale si concentra ideologicamente nel super-io come una somma di prescrizioni, divieti e ordini. Una gran parte di questo è inconscia.

La psicoanalisi riconduce tutta la morale dell'uomo alle influenze dell'educazione, e respinge quindi il postulato di un carattere metafisico della morale, per esempio nel senso della morale kantiana. Essa dissolve materialisticamente il concetto della morale, riconducendola all'esperienza ed all'istinto di conservazione come alla paura della punizione. Nel bambino ogni disposizione morale nasce per la paura del castigo o per l'amore alle persone degli educatori. Se Freud infine parla di una «morale inconscia» e di un «senso di colpa inconscio», intende dire che, insieme ai desideri proibiti, sono repressi anche certi elementi del senso di colpa, come il divieto dell'incesto.

Jurinetz ha frainteso il concetto del senso di colpa inconscio, quando dice che qui si annida la supposizione di una essenza morale originaria dell'io, nel senso di una colpa metafisica. Taluni analisti possono credere, per qualche loro esigenza e sempre malgrado la psicoanalisi che esercitano, a qualcosa di originariamente morale e divino nell'uomo. Ciò però non ha riscontro nella teoria analitica, anzi è vero proprio il contrario: la psicoanalisi distrugge in modo definitivo e scientificamente una tale credenza, sottraendo la trattazione della morale alla filosofia. Lasciamo al singolo analista la risoluzione del conflitto: come possa conciliare la credenza in una morale metafisica e in Dio con le sue convinzioni psicoanalitiche. Non mancano motivi di preoccuparsi per la psicoanalisi, quando comincia a mettersi d'accordo con le concezioni metafisiche. La teoria del senso di colpa inconsci non infirma la teoria dell'inconscio, come teme Jurinetz, ma, all'opposto, riconduce l'acquisizione della morale alle sue basi materiali.

Fino ad ora abbiamo mostrato che sia l'Es che il Super-io, lungi dall'essere costruzioni metafisiche, si lasciano ricondurre integralmente, quanto al loro contenuto, ai bisogni e gli apporti reali del mondo esterno. Dove Jurinetz, abbia tratto l'ispirazione per muovere l'accusa che, «come in Schopenhauer, così anche in Freud il mondo è una produzione del proprio io al fine di una regolamentazione dei nostri istinti» è per me incomprensibile. In innumerevoli passi, che del resto lo Jurinetz cita, Freud ha detto proprio il contrario, che cioè l'io è un risultato dell'azione dello ambiente esterno sull'organismo istintuale, sorge come una difesa contro le eccitazioni. Perfino nel lavoro su cui Jurinetz fonda principalmente la sua critica, cioè nell'opera dichiaratamente speculativa Al di là del principio del piacere, non vi è alcun cenno di una creazione del mondo reale attraverso l'io. Jurinetz è naufragato nel concetto della proiezione, che in quello scritto non viene discusso nei dettagli; egli avrebbe potuto trovare maggiori chiarimenti nei lavori clinici di Freud. L'io crede che le rappresentazioni, che ha represso in sé e alla cui pressione soggiace, siano nel mondo esterno. Questa, e null'altro, è la proiezione. Proprio grazie a questa teoria materialistica Freud ha potuto chiarire la natura delle allucinazioni dei malati di mente. Le voci, che essi odono, sono di fatto rimorsi o desideri inconsci, ma non hanno realtà nel mondo esterno.

Certo, Al di là del principio del piacere era quel che ci voleva per far sorgere concezioni erronee nella psicoanalisi. Freud stesso però ha manifestato un atteggiamento critico nei riguardi di questo lavoro, sia per iscritto, sia più volte oralmente, indicandolo come estraneo alla psicoanalisi clinica. Che quest'opera, tuttavia, sia potuta divenire, malgrado tutto, il punto di partenza di speculazioni completamente inconsistenti sull'ipotesi dell'istinto di morte, dipende verosimilmente dal fatto che la teoria della libido, assai scabrosa per l'ideologia borghese, viene volentieri barattata con un'ipotesi meno pericolosa.

La natura materiale dell'io è incontestabile, poiché esso è collegato al sistema percettivo degli organi sensoriali. Inoltre l'io secondo Freud, come abbiamo già detto, deriva dall'azione di stimoli materiali sull'apparato degli istinti. Secondo Freud esso è soltanto una parte specificamente differenziata dell'Es, un cuscinetto o un organo protettivo fra l'Es e il mondo reale. Nei suoi movimenti l'io non è libero, ma dipende dall'Es e dal Super-io, dipende cioè dall'elemento biologico e da quello sociale. La psicoanalisi contesta il libero arbitrio e la sua concezione al riguardo coincide perfettamente con quella di Engels: «La libertà del volere non è altro che la capacità di poter decidere con cognizione di causa». La concordanza è cosi completa, che si esprime persino nella concezione fondamentale della terapia delle nevrosi: il malato, riconoscendo ciò che ha represso e riportando l'inconscio alla coscienza, deve diventar capace di decidersi con «maggiore cognizione di causa» di quanto non gli era possibile quando le sue tendenze più intime gli erano inconsce. Naturalmente questa non è la libertà del volere nel senso in cui l'intendono i metafisici, poiché è delimitata dalle esigenze dei bisogni naturali. Quando i desideri sessuali sono divenuti consci, il paziente non può prendere la decisione di reprimerli nuovamente, e gli è anche impossibile decidersi per una continenza duratura. Certo, si può proporre di vivere in uno stato di continenza per un certo periodo. Dopo un'analisi riuscita l'io rimane non meno dipendente dall'Es e dalla società: esso sa soltanto risolvere meglio i conflitti.

Dalle condizioni del loro sorgere risulta che, per quanto riguarda i loro contenuti concreti, l'Io in parte e il Super- io integralmente, racchiudono in sé problemi di vita sociale. Le esigenze etiche e religiose cambiano con gli ordinamenti sociali. Il Super-io della donna nell'epoca platonica è completamente diverso da quello esistente nella società capitalistica, e i contenuti del Super-io si modificano naturalmente nella misura in cui, nella società attuale, si va preparando ideologicamente la società nuova. Il che concerne sia la morale sessuale come l'ideologia della intangibilità della proprietà dei mezzi di produzione, e varia anche naturalmente con la posizione dell'individuo nel processo produttivo.

Ma in quale modo agisce l'ideologia sociale sull'individuo? La sociologia marxista ha dovuto lasciare aperto questo problema in quanto si trova al di fuori del proprio dominio, mentre la psicoanalisi può trovare una risposta ad esso: per il bambino è la famiglia, impregnata delle ideologie della società, la cellula ideologica, si può dire, della società, che la rappresenta preliminarmente e in generale, ancor prima che egli venga immesso nel processo produttivo. Nel rapporto edipico non sono soltanto compresi gli atteggiamenti pulsionali, ma anche il modo in cui il bambino vive il complesso edipico e lo supera, e ciò è indirettamente condizionato sia dall'ideologia sociale generale, sia dalla posizione dei genitori nel processo produttivo; di conseguenza, le sorti del complesso edipico dipendono in ultima istanza, come tutto il resto, dalla struttura economica della società. Anzi, perfino il fatto che abbia luogo un complesso edipico è da ascriversi alla struttura specifica della famiglia, struttura che è condizionata dalla società. Il problema della natura storica non solo delle forme, ma anche dell'esistenza del complesso edipico sarà trattato da noi nel prossimo capitolo.

La dialettica nella vita psichica

Ci chiediamo ora se le nozioni materialistiche della psicoanalisi abbiano svelato anche la dialettica del processo psichico. Vogliamo però prima ricordare i principi essenziali del metodo dialettico, come è stato elaborato da Marx e da Engels e come è stato sviluppato dai loro allievi.

La dialettica materialistica di Marx è sorta in contrapposizione alla dialettica idealistica di Hegel, il vero e proprio fondatore del metodo dialettico. Mentre Hegel considerava la dialettica dei concetti come il motore primario dello sviluppo storico e concepiva il mondo reale soltanto come un'immagine riflessa delle idee o concetti che si sviluppavano dialetticamente, Marx ha rovesciato materialisticamente la visione del mondo, cioè ha messo «sui piedi», secondo la sua stessa espressione, il sistema di Hegel, riconoscendo nel divenire materiale il fattore primario e nelle idee un derivato di quello. Mentre egli però faceva sua la concezione dialettica del divenire di Hegel, nello stesso tempo si sbarazzava dell'idealismo metafisico di Hegel e del materialismo meccanicistico dei materialisti del XVIII secolo. Le proposizioni principali del materialismo dialettico sono:

1) La dialettica non è soltanto una forma del pensiero, ma esiste nella materia indipendentemente dal pensiero, vale a dire il movimento della materia è oggettivamente dialettico. Il seguace del materialismo dialettico non pone, quindi, nella materia qualcosa che è soltanto nel suo pensiero, bensì afferra direttamente, per mezzo degli organi sensoriali e del suo pensiero, che è soggetto esso stesso alle leggi della dialettica, i fenomeni materiali della realtà obiettiva. E' chiaro che questa posizione è completamente opposta a quella idealistica di Kant.

2) Lo sviluppo non solo della società, ma anche dei fenomeni naturali non avviene, come afferma ogni tipo di metafisica, sia idealistica sia materialistica, in base a un «principio di sviluppo» o a una «tendenza allo sviluppo immanente nelle cose», bensì risulta da una contraddizione intrinseca: da contrari, che si trovano nella materia e da un conflitto tra questi contrari, che non può essere risolto nel modo di esistenza dato, cosicché i contrari fanno esplodere il modo di esistenza in atto e ne creano uno nuovo, nel quale si sviluppano nuovi opposti e così via.

3) Tutto ciò che produce lo sviluppo dialettico è oggettivo, né buono, né cattivo, ma necessario. Però tutto ciò che in una fase dello sviluppo è stato un fattore progressivo può più tardi diventare un fattore di arresto. Così il modo di produzione capitalistico ha favorito ampiamente in un primo tempo le forze produttive tecniche, ma più tardi è diventato un impedimento di questo sviluppo a causa delle contraddizioni in esso immanenti. La liberazione da questo impedimento dà luogo al modo di produzione socialistico.

4) A causa dello sviluppo dialettico dei contrari, che abbiamo descritto, nulla è duraturo; tutto ciò che diviene porta in sé il germe della sua dissoluzione. Una classe, che vuole stabilizzare il suo dominio, non può accettare la concezione dialettica, per non condannare a morte se stessa. Secondo Marx, la borghesia capitalistica, nella sua ascesa, ha portato a uno sviluppo una classe, il proletariato, le cui condizioni di esistenza comportano il tramonto di quella. Di qui anche il fatto che solo la classe proletaria può riconoscere pienamente e tragicamente la dialettica, mentre la borghesia deve necessariamente rifugiarsi nello idealismo assoluto.

5) Ogni sviluppo è espressione e conseguenza di una duplice negazione: negazione della negazione. Per spiegare ciò prendiamo un esempio dallo sviluppo sociale. La produzione delle merci è stata la negazione del comunismo primitivo nel quale dominava solamente la produzione dei valori d'uso. L'ordinamento economico socialista è la negazione della prima negazione, esso nega la produzione delle merci e giunge così, a spirale, ad uno stadio superiore, all'affermazione di ciò che prima era stato negato, alla produzione di valori d'uso, al comunismo.

6) Le contraddizioni non sono assolute, ma si compenetrano l'una con l'altra. Ad un certo punto la quantità si converte in qualità. Ogni causa di un effetto è, al tempo stesso, effetto di quest'ultimo, che agisce come causa. Non si tratta solo di un'azione reciproca di fenomeni rigorosamente distinti l'uno dall'altro, ma di una compenetrazione reciproca, di un'azione e reazione dell'uno sull'altro. Inoltre, in determinate circostanze, un elemento può trasformarsi nel suo contrario.

7) Lo sviluppo dialettico avviene gradualmente, ma a un certo punto si fa brusco. L'acqua raffreddata progressivamente non diventa ghiaccio a poco a poco, bensì la qualità acqua si cambia nella qualità ghiaccio improvvisamente a un certo punto. Ciò non vuol dire però che il brusco cambiamento scaturisca improvvisamente dal nulla, bensì si è sviluppato poco a poco dialetticamente fino al momento del brusco cambiamento. Così la dialettica risolve anche il contrasto evoluzione-rivoluzione senza sopprimerlo. La trasformazione dell'ordine sociale viene preparata in un primo momento dall'evoluzione (socializzazione del lavoro, pauperizzazione della maggioranza, ecc.), e è realizzata rivoluzionariamente.

Cerchiamo ora, in alcuni processi tipici della vita psichica umana che l'analisi ha rivelati, di mettere in evidenza la loro dialettica che a nostro avviso non sarebbe potuta venire alla luce senza il metodo psicoanalitico.

Prima di tutto prendiamo come esempio di sviluppo dialettico la formazione del sintomo nevrotico, così come Freud l'ha intesa e descritta. Secondo Freud un sintomo nevrotico nasce per il fatto che l'io, socialmente condizionato, si difende contro una pulsione istintuale e la reprime. La repressione di un impulso istintuale non produce ancora però, da sola, alcun sintomo: per questo è necessario che un istinto represso cerchi di irrompere di nuovo attraverso la repressione e così appare in forma camuffata come sintomo. Il sintomo contiene, secondo Freud, sia l'impulso istintuale, da cui ci si difende, sia la difesa stessa: il sintomo quindi congloba tutte e due le opposte tendenze. In che cosa consiste la dialettica della formazione del sintomo? L'io del soggetto si trova sotto la pressione di un «conflitto psichico».

La situazione contraddittoria — da un lato le esigenze degli istinti e dall'altro la realtà che nega o punisce la soddisfazione — richiede una soluzione. L'io è troppo debole per sfidare la realtà, ma anche troppo debole per padroneggiare l'istinto. Questa debolezza dell'io, che è già essa stéssa la conseguenza di uno sviluppo precedente, riguardo al quale la formazione del sintomo rappresenta soltanto una fase, questa debolezza costituisce dunque l'ambito in cui si svolge il conflitto: questo viene ora risolto in quanto l'io, sottomettendosi alle esigenze sociali, in realtà per non essere schiacciato o punito, quindi per l'istinto di conservazione, reprime il moto istintuale. La repressione è quindi la conseguenza di una contraddizione, che non può essere risolta a livello della coscienza. Il fatto che l'istinto sia diventato inconscio è una soluzione provvisoria, anche se patologica, del conflitto.

Seconda fase: dopo la repressione del desiderio, che è stato sia negato sia affermato dall'io, l'io stesso è modificato, la sua coscienza si è impoverita di un elemento (l'istinto), e si è arricchita di un altro (un sollievo passeggero). Ma l'istinto, sebbene represso, non può rinunciare al suo soddisfacimento, come quando era cosciente, anzi di meno, poiché ora non è sottoposto al controllo della coscienza.

La repressione pone la sua propria scomparsa, poiché, in conseguenza di essa, l'energia istintuale viene fortemente ingorgata, per poi aprirsi infine un varco attraverso la repressione. Questo nuovo processo è il risultato della contraddizione repressione-ingorgo di energia istintuale, come la repressione stessa è stata la conseguenza della contraddizione desiderio istintuale-rifiuto del mondo esterno (sotto la condizione: debolezza dell'io).

Non sussiste quindi una «tendenza» alla formazione del sintomo, bensì lo sviluppo avviene, come abbiamo potuto vedere, in base alle contraddizioni del conflitto psichico. Insieme con la repressione è stata anche posta la condizione che permette la sua «rottura», l'accumulo di energie dell'impulso insoddisfatto. Con la «rottura» della repressione nella seconda fase, viene ristabilito lo stato originario? Sì e no. Sì in quanto l'istinto domina nuovamente l'io, e no, in quanto esso si trova nella coscienza trasformato, in una forma camuffata, come sintomo. Quest'ultimo contiene l'elemento originario, cioè l'istinto, ma al tempo stesso anche il suo contrario, la difesa dell'io. Nella terza fase (sintomo) i due opposti originari si trovano quindi riuniti in un unico, identico fenomeno. Questo è la negazione (la «rottura») della negazione (della repressione). Fermiamoci un momento, per chiarire ciò con un esempio concreto, tratto dall'esperienza psicoanalitica.

Prendiamo il caso di una donna sposata che ha paura dei ladri che la potrebbero aggredire con coltelli. Non può rimanere sola in una stanza e teme che ovunque si nasconda un feroce scassinatore. L'analisi della moglie di un operaio ha dato il seguente risultato:

Prima fase. Conflitto psichico e repressione:

La donna, prima del matrimonio, ha conosciuto un uomo che l'aveva perseguitata con proposte che avrebbe accettato volentieri se non fosse stata inibita moralmente. Potè differire la soluzione di questo conflitto consolandosi con la prospettiva di un matrimonio. Ma l'uomo si allontanò ed essa sposò un altro senza, però, poter dimenticare il primo. Il pensiero di quest'uomo la disturbava continuamente. Quando un giorno lo incontrò di nuovo, precipitò in un grave conflitto fra il desiderio di lui e il dovere della fedeltà coniugale. In queste condizioni il conflitto divenne insopportabile e insolubile. Il desiderio di lui era altrettanto forte del suo senso morale. Così cominciò ad evitarlo (difesa) e, infine, apparentemente lo dimenticò. Non l'aveva dimenticato realmente, ma si trattava di una repressione. Si credette guarita e consciamente non pensò più a lui.

Seconda fase. Rottura della repressione: Qualche tempo dopo ella ebbe un violento litigio con il marito poiché questi aveva un flirt con un'altra donna. Nel corso del litigio, come si rivelò più tardi, aveva pensato: «Se lo puoi fare tu, sono stupida a non permettermelo anch'io»; e aveva davanti agli occhi, in quel momento, la figura dell'altro uomo amato. Ma l'idea era troppo pericolosa, poteva evocare tutto il vecchio conflitto e così questo pensiero non la preoccupò più coscientemente; ella lo aveva represso di nuovo. Durante la notte però si manifestò uno stato d'angoscia: ebbe, all'improvviso, l'impressione che un estraneo silenziosamente scivolasse verso il suo letto per violentarla. L'istinto era penetrato nella sua coscienza in una forma camuffata, anzi sotto l'aspetto del suo diretto contrario: invece di desiderarlo, temeva l'estraneo. Questo travestimento (terza fase) era alla base della formazione del suo sintomo. Se analizziamo ora il sintomo stesso, vediamo nella rappresentazione fantastica che un uomo si avvicini al suo letto durante la notte la realizzazione del desiderio represso di commettere l'adulterio. (Un'analisi attenta mostrò che essa, senza saperlo, fantasticava il primo uomo amato: la statura, il colore dei capelli ecc. erano gli stessi). Nello stesso sintomo è contenuta anche la difesa, la paura dell'istinto, che si manifesta come paura dell'uomo. Più tardi dall'angoscia scomparve l'elemento «essere violentata» e venne sostituito con «essere assassinata»; il che corrisponde a un ulteriore travestimento del contenuto, troppo manifesto, del sintomo.

In questo esempio non soltanto vediamo, riuniti in un solo fenomeno, gli opposti in origine separati, ma anche il cambiamento di un fenomeno nel suo opposto, del desiderio nell'angoscia. In questa trasformazione dell'energia sessuale in angoscia, una delle prime e fondamentali scoperte di Freud, ci accorgiamo che la stessa energia, in certe condizioni, produce il contrario di quello che si verificherebbe in condizioni diverse.

Nel nostro esempio viene alla luce un altro principio d'esperienza di carattere dialettico. Nel nuovo, nel sintomo cioè, è presente il vecchio, il desiderio sessuale, e tuttavia il vecchio non è più lo stesso ma qualcosa di completamente nuovo, cioè l'angoscia. La contraddizione dialettica di libido e angoscia si può risolvere anche altrimenti, a partire dalla contraddizione tra io e mondo esterno. Prima di affrontare questo argomento vogliamo mostrare ancora, con alcuni esempi minori, la dialettica della vita psichica. A proposito del cambiamento della quantità in qualità: la repressione di una pulsione istintuale dalla coscienza o anche il suo semplice soffocamento è, fino a un certo punto, piacevole per l'io perché elimina un conflitto; al di là di un certo grado, però, il piacere si cambia in dolore. Un piccolo stimolo di una zona erogena, incapace di dar luogo a una soddisfazione finale, è piacevole; se lo stimolo dura troppo a lungo, il piacere si muta in dolore.

Processi dialettici sono, inoltre, la tensione e la distensione. Questo si può vedere molto bene nell'istinto sessuale. La tensione di un'eccitazione sessuale aumenta il desiderio, ma la soddisfazione, ottenuta durante l'eccitazione, diminuisce la tensione, ciò che è al tempo stesso distensione. La tensione prepara la distensione futura, come la tensione meccanica della molla dell'orologio prepara la sua distensione. Inversamente la distensione è connessa con la massima tensione — per esempio, nell'atto sessuale, oppure (si pensi alla tensione che precede la scena madre) in un dramma emozionante — ma essa è anche la base per una rinnovata tensione.

Il principio della identità degli opposti è evidente nei processi della libido narcisistica e della libido oggettuale. Per Freud l'amore di sè e l'amore per l'oggetto non sono soltanto opposti: l'amore dell'oggetto nasce dalla libido narcisistica e può ad ogni momento tramutarsi di nuovo in essa; in quanto però entrambi rappresentano tendenze amorose sono identici; non da ultimo essi si ricollegano a un'origine comune, l'apparato sessuale somatico e il «narcisismo primario». Esaminiamo inoltre i concetti di «conscio» e «inconscio»: essi sono opposti, ma nella nevrosi coatta si vede che possono essere nello stesso tempo opposti e identici. Questi ammalati reprimono delle rappresentazioni dalla coscienza in modo tale da allontanare da queste soltanto la loro attenzione, cioè la carica affettiva; la rappresentazione «repressa» è ad ogni momento conscia e inconscia, vale a dire il paziente la può produrre, ma non ne conosce il significato. I concetti dell'Es e dell'io esprimono parimenti degli opposti che sono identici: l'io da un lato è soltanto un settore particolarmente differenziato dell'Es ma nello stesso tempo, sotto l'influsso del mondo esterno diventa anche un avversario, una controparte funzionale dell'Es.

Il concetto dell'identificazione corrisponde non soltanto a un processo dialettico, ma anche a una identità di opposti. L'identificazione, secondo Freud, ha luogo in quanto «si fa propria» («ci si identifica») la persona di un educatore che contemporaneamente è amato e odiato, cioè si assumono le sue qualità o i suoi comandi. Di solito la relazione oggettuale scompare a questo punto. L'identificazione mette fine allo stadio della relazione oggettuale ed è quindi il suo opposto, la sua negazione, ma nello stesso tempo è una conservazione del rapporto oggettuale in un'altra forma, quindi è anche un'affermazione. Alla base di tutto ciò si trova la seguente contraddizione o conflitto: «Io amo x; come mio educatore egli mi proibisce molte cose, per cui lo odio; desidererei eliminarlo, distruggerlo, ma lo amo e lo voglio anche conservare». Da questa situazione contraddittoria, che come tale non può sussistere qualora gli stimoli opposti siano di una certa intensità, vi è la seguente via d'uscita: «Io lo assorbo, mi "identifico" con lui, lo anniento, cioè anniento la mia relazione con lui nel mondo esterno, però continuo a conservarlo dentro di me, in una forma modificata; io l'ho annientato e conservato».

In quei fatti che nella psicoanalisi sono spiegati con il concetto di ambivalenza, del sì e del no simultanei, vi è ancora una gran copia di fenomeni dialettici, dei quali noi mettiamo in rilievo soltanto quello più saliente: la trasformazione dell'amore in odio e viceversa. L'odio può significare, in realtà, amore e viceversa. Essi sono identici in quanto tutti e due rendono possibili dei legami intensi con i propri simili. La trasformazione nell'opposto è una proprietà che Freud attribuisce agli istinti. Nella trasformazione, però, il vecchio non viene soppresso, ma conservato nel suo contrario.

Anche la contraddizione «perversione-nevrosi» può essere risolta dialetticamente in quanto ogni nevrosi è una perversione negata e viceversa.

Un bell'esempio di sviluppo dialettico si può facilmente vedere nella secolare contraddizione fra il tabù dell'incesto nei riguardi della sorella e della madre e la libertà sessuale nei riguardi delle altre donne. Tuttavia la limitazione sessuale si estende sempre più: dapprima concerne le cugine, poi le donne dello stesso clan ed infine con ulteriori estensioni si trasforma qualitativamente, dando vita a un atteggiamento nuovo verso la sessualità, come all'epoca del patriarcato e particolarmente all'epoca del cristianesimo. A sua volta, la repressione accentuata della sessualità produce il suo opposto, dato che il tabù delle relazioni infantili fra fratello e sorella è venuto meno di fatto. Gli adulti, a seguito delle troppo forti repressioni sessuali, non sanno più nulla della sessualità infantile, cosicché i giochi sessuali fra fratello e sorella non sono considerati come sessuali e sono ammessi, come cose naturali, nelle famiglie più «severe». Il primitivo non può alzare nemmeno lo sguardo sulla sorella, ma per il resto è completamente libero dal punto di vista sessuale. Il civilizzato vive la sua sessualità infantile con la sorella, ma è legato da severi comandamenti morali.

Cerchiamo ora di capire fino a che punto la psicoanalisi abbia mostrato la dialettica della vita psichica anche per quanto riguarda lo sviluppo generale dell'individuo nella società. Tratteremo, in questo contesto, due problemi essenziali:

1) Se la dialettica dei processi psichici non si possa ricondurre alla contraddizione originaria tra l'io (impulso istintuale) ed il mondo esterno.

2) Come la concezione razionale e la concezione irrazionale delle qualità individuali si contraddicano e tuttavia si tramutino l'una nell'altra.

Nella prima parte abbiamo già esposto la dottrina della psicoanalisi freudiana secondo cui l'individuo, dal punto di vista psicologico, viene al mondo come un fascio di bisogni, e di istinti corrispondenti a questi. Quale essere socializzato egli viene immesso subito, con questi bisogni, nella società e non soltanto nella società più ristretta della famiglia, bensì indirettamente, attraverso le condizioni economiche dell'esistenza familiare, anche nella società più vasta. In altre parole la struttura economica della società — attraverso molti anelli intermedi: appartenenza della famiglia a una classe sociale, condizioni economiche della famiglia, ideologia, rapporti dei genitori fra loro ecc. — determina azioni e reazioni reciproche con l'istinto-io del neonato. Così come questo modifica il suo ambiente, l'ambiente modificato a sua volta agisce nei suoi confronti. I bisogni vengono parzialmente soddisfatti, fin quando regna l'armonia. Nella maggior parte dei casi sorge una contraddizione fra i bisogni istintuali e l'ordine sociale, rappresentato dalla famiglia, come abbiamo detto, e più tardi dalla scuola. Questa contraddizione genera un conflitto che conduce a una modificazione, e poiché è l'individuo l'avversario più debole, a una modificazione nella sua propria struttura psichica. Tali conflitti conseguenti a queste contraddizioni, che sarebbero insolubili se la struttura del bambino rimanesse statica, nascono quotidianamente, di ora in ora, e costituiscono l'elemento motore vero e proprio.

Si parla, nella psicoanalisi, di disposizioni, di tendenze allo sviluppo e d'altro, ma i fatti, che sono stati fino ad oggi acquisiti sperimentalmente riguardo allo sviluppo della prima infanzia, depongono soltanto a favore dello sviluppo dialettico sopra descritto, dello sviluppo attraverso gli opposti, di momento in momento. Si distinguono fasi di sviluppo della libido, e si dice che la libido «attraversa» queste fasi; ma l'osservazione mostra che nessuna fase viene realmente messa in atto senza negare la soddisfazione istintuale della fase precedente. Così la negazione della soddisfazione istintuale, attraverso il conflitto che si produce nel bambino, diventa il motore del suo sviluppo. Tralasciamo la parte che l'ereditarietà ha in questo sviluppo, e che difficilmente può essere definita, come, per esempio, la predisposizione delle zone erogene e dell'apparato percettivo. Essa costituisce un settore ancora completamente oscuro della ricerca biologica. Il problema della natura della sua dialettica non si pone in questa sede. Dobbiamo tenerne conto, tuttavia contentiamoci della formula freudiana secondo cui la predisposizione istintuale collabora allo sviluppo allo stesso modo delle esperienze vissute.

Fra queste esperienze, accanto alle soddisfazioni dell'istinto, le frustrazioni svolgono un ruolo di primo piano, quali motori dello sviluppo. La contraddizione fra l'io-istinto e il mondo esterno si trasforma alla fine in una contraddizione interna, poiché va nascendo, sotto l'influsso del mondo esterno, un organo di controllo nell'apparato psichico, il super-io. Ciò che inizialmente era paura della punizione diventa una inibizione morale. Il conflitto fra l'istinto e il mondo esterno diventa un conflitto fra l'io istinto e il super-io. Ma noi non dimentichiamo che ambedue sono di natura materiale, che quello è alimentato organicamente e questo, in ultima analisi, è stato edificato nell'io nell'interesse della auto conservazione.

L'istinto di auto conservazione (narcisismo) limita l'istinto sessuale e l'aggressività. Così due bisogni fondamentali che originariamente, nello stadio dell'allattamento,- e anche più tardi in molte situazioni, formano un'unità, entrano in contraddizione l'uno con l'altro e portano avanti lo sviluppo di conflitto in conflitto, ma non solo in occasione, anzi proprio attraverso il legame sociale. Se il conflitto interno ed esterno determina lo sviluppo nelle sue linee generali, l'esistenza sociale realizza sia gli scopi istintuali, sia le inibizioni morali con i suoi contenuti e le sue rappresentazioni storicamente definite.

La psicoanalisi può confermare pienamente la tesi di Marx che l'essere determina la «coscienza», cioè le rappresentazioni, gli scopi degli istinti, le ideologie morali ecc., e non il contrario. Essa dà un contenuto concreto a questa tesi nei riguardi dello sviluppo infantile. Ma ciò non esclude che l'intensità dei bisogni, che è determinata somaticamente, e le differenze qualitative dello sviluppo siano causate dall'apparato degli istinti. Questa non è una «deviazione idealistica», come mi hanno rimproverato taluni marxisti, discutendo di questo argomento, ma corrisponde pienamente alla tesi marxiana che gli uomini stessi fanno la loro storia, sebbene in condizioni determinate di natura sociale. In una lettera Engels protesta espressamente contro la credenza che la produzione e la riproduzione della vita reale siano l'unico fattore determinante dello sviluppo delle ideologie. Esse sono il fattore determinante soltanto in ultima analisi.

Tradotta sociologicamente, la tesi centrale di Freud sull'importanza del complesso di Edipo per lo sviluppo dell'individuo significa soltanto che l'esistenza sociale determina questo sviluppo. Le disposizioni e gli istinti umani, forme vuote disponibili per i contenuti sociali, passano attraverso le vicende dei rapporti con il padre, la madre e gli educatori, e acquistano soltanto così la loro forma e i loro contenuti definitivi.

La dialettica dello sviluppo psichico non appare soltanto nel fatto che da ogni situazione di conflitto possono derivare dei risultati contrari, a seconda del rapporto di forze degli opposti, ma l'esperienza clinica dimostra anche che le qualità caratterologiche possono, in corrispondenti situazioni di conflitto, trasformarsi nel loro contrario, che era già presente in germe nella prima soluzione del conflitto. Un bambino crudele può diventare l'uomo più pietoso e una dettagliata analisi può mostrare che la sua vecchia crudeltà si annida nella sua pietà. Il bambino sudicio può diventare un maniaco della pulizia, quello curioso un uomo estremamente discreto. La sensualità si trasforma facilmente in ascetismo. Quanto più intensamente una qualità si sviluppa, tanto più facilmente si trasforma nel suo contrario, in certe circostanze (formazione reattiva).

Nel corso dello sviluppo, però il vecchio non va completamente perduto a causa delle trasformazioni subite. Mentre una parte d'una qualità si muta nel suo contrario, un'altra rimane immutata, non senza subire, in prosieguo di tempo, delle modificazioni morfologiche in conseguenza del cambiamento di tutta la personalità. Il concetto freudiano della ripetizione svolge un grande ruolo nell'ambito dello sviluppo psicologico e si dimostra, a una osservazione attenta, assolutamente dialettico. Ciò che viene ripetuto è sempre il vecchio in quanto è tuttavia assolutamente nuovo, il vecchio in nuove vesti o in una nuova funzione. Lo abbiamo già visto nel sintomo. Così accade anche nella sublimazione. Se un bambino, che giocava volentieri con gli escrementi, più tardi fabbrica castelli con la sabbia bagnata e infine da adulto finisce con l'avere un grande interesse per le costruzioni, in tutte e tre le fasi è contenuto il vecchio anche se in un'altra forma e in un'altra funzione. Un altro esempio è quello del chirurgo o del ginecologo; il primo sublima il suo sadismo operando, l'altro il suo piacere infantile di vedere e di toccare.

Valutare l'esattezza di queste scoperte non può essere compito della critica metodologica, ma della critica empirica. Chi non ha analizzato nessun chirurgo non può confutare questa affermazione. Ma metodologicamente può sollevare un'importante obiezione sottolineando la dipendenza dell'attività dell'uomo dalle condizioni economiche di esistenza. La psicoanalisi però non dice se non che queste o quelle forze agiscono nella realtà. Accanto a questo impulso soggettivo naturalmente la forma della sublimazione è del tutto condizionata dal fattore economico, perché, se un uomo sublima il suo sadismo come macellaio o chirurgo o detective, ciò dipende soprattutto dalla sua posizione sociale. Una sublimazione può anche essere impossibile per motivi sociali, e ciò comporta un'insoddisfazione per il lavoro a cui si è stati costretti dalla società. Inoltre ci si deve domandare come il carattere innegabilmente razionale di una attività si accordi con il suo significato irrazionale, altrettanto innegabile. Il pittore dipinge, l'ingegnere costruisce, il chirurgo taglia, il ginecologo esamina, per vivere, e quindi per motivi economici, razionali. Il lavoro è un fattore sociale dunque completamente razionale. Come si può conciliare ciò con l'interpretazione della psicoanalisi, che chi lavora sublima e quindi soddisfa un istinto mediante la sua attività?

Alcuni analisti non valutano abbastanza il carattere razionale dell'attività umana. Presso costoro si può constatare una concezione del reale che vede nei prodotti dell'attività umana null'altro che proiezioni e soddisfazioni di istinti. Al riguardo una volta un analista ebbe a dire scherzosamente che l'aeroplano è un simbolo del pene, ma che con esso si può volare da Berlino a Vienna.

La problematica delle relazioni fra razionale e irrazionale risulta anche dai fatti seguenti. La lavorazione della terra con attrezzi e la semina hanno lo scopo di produrre i mezzi di sussistenza, per la società come per il singolo. Ma ciò riveste anche il senso simbolico di un incesto colla madre (la madre-terra). Il razionale attrae il simbolico, si riempie di un senso simbolico. Il rapporto dell'attività razionale con il senso irrazionale-simbolico di questa attività appare nel ritmo di tutte e due le funzioni: nella penetrazione di uno strumento in una qualche materia, nel piantare il seme e nella produzione di un frutto da parte della materia così lavorata. Il simbolismo è quindi giustificato e vediamo che ciò che è apparentemente privo di senso, ha un suo significato intimo, che il simbolismo ha un suo fondamento reale, se poniamo mente al fatto che la madre genera frutti così come la terra, dopo essere stata lavorata con uno strumento (simbolo del pene). L'erezione di immagini falliche sui campi coltivati, nel senso di un incantesimo di fecondità, una azione oggettivamente inutile di natura magica che viene praticata da molti popoli primitivi, chiarisce un certo aspetto del rapporto fra il razionale e l'irrazionale; si tratta di un tentativo magico, per raggiungere meglio e più facilmente un determinato scopo con mezzi irrazionali. Ma il comportamento razionale, in questo caso vangare e lavorare la terra, non viene perciò tralasciato. E ciò che nell'agricoltura, come elemento simbolico, appare irrazionale, vale a dire il rapporto sessuale, è in sé sensato e utile; serve alla soddisfazione del bisogno sessuale, come il seminare serve all'autoconservazione. Vediamo ancora una volta che non vi sono contraddizioni assolute e che la contraddizione di razionale e irrazionale si risolve dialetticamente.

Il fatto dialettico che nel razionale è contenuto l'irrazionale, e viceversa, richiede un esame più attento. Una risposta al riguardo può essere offerta dall'esperienza psicoanalitica in merito a fatti clinici individuali. Essa mostra che le attività umane socialmente utili possono ricevere un senso simbolico, anche se non di necessità. Se in un sogno appare un coltello o un albero, può essere un simbolo del pene, ma non necessariamente; può anche essere inteso come un vero coltello o un vero albero. E se si manifesta come un simbolo nel sogno, il significato razionale non è affatto escluso, perché se ci si domanda nel corso dell'analisi il motivo per cui il pene è stato raffigurato proprio come un albero o un coltello e, per esempio, non come un bastone, in molti casi se ne troverà una spiegazione razionale. Una ninfomane si masturbava con un coltello che indubbiamente simbolizzava un pene. La scelta del coltello era però fondata sul fatto che una volta sua madre le aveva lanciato un coltello e l'aveva ferita. Nell'onanismo dominava l'idea di doversi distruggere col coltello. Questo comportamento, che più tardi divenne irrazionale, era originariamente del tutto razionale e serviva alla soddisfazione sessuale. Da questo esempio vediamo, e ne potremmo dare molti altri, che ciò che, nel momento in cui viene osservato, sembra irrazionale, una volta ha avuto una funzione razionale. Ogni sintomo in sé irrazionale ha un senso e uno scopo se lo si riconduce attraverso l'analisi alla sua nascita. Il risultato di questa concezione è che tutto il comportamento infantile-istintivo che corrisponde alla tendenza razionale al piacere diventa un comportamento irrazionale, se ha subito la repressione o una sorte analoga. Il razionale è dunque l'elemento primario.

Se prendiamo come esempio la costruzione di macchine, troviamo in essa elementi irrazionali, che sono la soddisfazione simbolica di un desiderio inconscio. Nella sublimazione una forza istintuale, che una volta nell'infanzia era razionalmente indirizzata verso la soddisfazione, è stata distolta mediante l'educazione dal suo scopo originario e indirizzata verso un altro scopo. Ma nel momento in cui si è rinunziato allo scopo primitivo reale, scopo che viene però conservato nella fantasia, l'impulso è diventato irrazionale. Se l'istinto nella sublimazione trova un nuovo scopo, il vecchio impulso diventato irrazionale si confonde con il nuovo comportamento razionale e si manifesta come motivazione irrazionale di questo comportamento. Ciò si dimostra schematicamente nell'istinto sessuale di conoscenza, che più tardi opera per esempio nell'attività del ginecologo.

1. fase: L'istinto sessuale di conoscenza è indirizzato razionalmente all'osservazione del corpo nudo e degli organi sessuali. Scopo razionale è la soddisfazione del desiderio di conoscere.

2. fase: Negazione dell'attività diretta: l'istinto perde la sua soddisfazione; l'impulso, in relazione all'attuale realtà sociale, diventa irrazionale.

3 fase: L'istinto trova una nuova attività che ha relazioni di contenuto con la prima. Il soggetto diventa medico, osserva nuovamente corpi nudi e organi sessuali, come un tempo quando era bambino. Fa la stessa cosa e tuttavia una cosa diversa; nella misura in cui fa la stessa cosa di quando era bambino, nella misura in cui la sua attività si ricollega alla situazione infantile, essa è attualmente priva di senso e inutile; nella misura in cui si ricollega alla sua funzione sociale presente ha un senso.

Ma questo significa che ciò che decide se un'attività è razionale o irrazionale è la sua funzione sociale. La trasformazione del carattere di un'attività da razionale a irrazionale, e viceversa, dipende anche dalla posizione sociale dell'individuo in un certo momento. Lo stesso comportamento del. medico, che nel suo studio è privo di senso, ne acquista uno nella sua vita privata, durante l'atto amoroso, e ciò che aveva lì un senso perde il suo carattere razionale nella stessa situazione privata.

Queste considerazioni permettono però l'ipotesi che la psicoanalisi, in virtù del suo metodo, è chiamata a scoprire le radici istintuali dell'attività sociale dell'individuo e, in virtù della teoria dialettica degli istinti, a chiarire dettagliatamente le ripercussioni psichiche delle forze produttive nell'individuo, vale a dire la formazione delle ideologie «nella testa degli uomini». Fra i due estremi, struttura economica della società e sovrastruttura ideologica, le cui relazioni causali la concezione materialistica della storia ha determinato nel loro complesso, la concezione psicoanalitica della psicologia dell'uomo socializzato inserisce una serie di anelli intermedi. Essa può dimostrare che la struttura economica della società non si trasforma direttamente in ideologie nella «testa dell'uomo», ma che il bisogno di nutrizione, le cui forme di espressione dipendono dai rapporti economici storicamente determinati, influisce, modificandole, sulle funzioni dell'energia sessuale, di gran lunga più plastica, e che questa azione sociale sui bisogni sessuali, con la limitazione dei loro scopi, dà luogo a sempre nuove forze produttive sotto forma di libido sublimata nel processo del lavoro sociale: in parte direttamente sotto forma di forza lavoro, in parte indirettamente sotto forma di prodotti altamente sviluppati della sublimazione sessuale, come quelli della religione, della morale in generale, della morale sessuale in particolare, della scienza ecc. Ciò sta a significare un preciso inserimento della psicoanalisi nella concezione materialistica della storia in un punto determinato di sua competenza: cioè là dove iniziano i problemi psicologici rivelati dal teorema marxiano che il modo di esistenza materiale si trasforma in idee nella testa dell'uomo. Il processo della libido nello sviluppo sociale è quindi secondario, dipende da quest'ultimo anche se interviene in maniera decisiva in esso, in quanto la libido sublimata come forza-lavoro diventa forza produttiva.

Se però il processo della libido è il fattore secondario ci dobbiamo domandare il significato storico del complesso di Edipo. Abbiamo visto che la psicoanalisi concepisce tutti i processi psichici, senza saperlo, dialetticamente; soltanto il complesso di Edipo sembra essere nella sua teoria un punto fisso in mezzo a fenomeni mobili. Ma esso può avere due spiegazioni. O il complesso di Edipo viene concepito astoricamente come un fatto immutato e immutabile, un dato della natura umana. Oppure potrebbe essere che la forma familiare, sulla quale si basa l'odierno complesso edipico, si mantenga da millenni immutata. Jones sembra essere del primo avviso e, in una discussione con Malinowski sul complesso edipico nella società matriarcale, ha asserito che il complesso di Edipo è fons et origo universale. Indubbiamente questa concezione è falsa, poiché eternare quei rapporti del bambino con il padre e la madre che sono stati accertati al giorno d'oggi, presentarli come identici in ogni società, equivale soltanto a teorizzare l'immutabilità della realtà sociale. Eternare il complesso edipico significa concepire come assoluta ed eterna la forma familiare ad esso soggiacente, il che sarebbe come dire che l'umanità è stata conformata dalla natura così come oggi appare.

L'ipotesi del complesso di Edipo vale per tutte le forme di società patriarcale, ma secondo le indagini di Malinowski i rapporti dei figli con i genitori nella società matriarcale sono così diversi da non giustificare quasi più una tale designazione. Secondo Malinowski il complesso edipico è un fatto socialmente condizionato che cambia forma col cambiare della struttura sociale. Il complesso edipico in una società socialista deve tramontare poiché la sua base sociale, la famiglia patriarcale, tramonta, perde la sua ragion d'essere. E la prevista educazione collettiva dei figli è così sfavorevole alla formazione di atteggiamenti psichici quali si sviluppano nella famiglia oggi, i rapporti dei bambini fra loro e con gli educatori sono così multilaterali e dinamici che la designazione «complesso di Edipo» (che ha un suo contenuto determinato, per cui si desidera la madre e si vuole uccidere il padre in quanto rivale) perde il suo significato. Si tratta soltanto di mettersi d'accordo sulla definizione e di decidere se si vuole designare come «complesso» di Edipo l'incesto reale, quale sussisteva nei tempi primitivi, o se si riserva questa denominazione per il desiderio di incesto frustrato e per la rivalità con il padre reale. Ciò significa solamente limitare la validità di una tesi fondamentale della psicoanalisi a certe forme sociali. Ma significa anche caratterizzare il complesso edipico come un fatto condizionato, almeno nella sua forma, socialmente e in ultima analisi economicamente. A causa delle divergenze che regnano fra gli etnologi la questione dell'origine della repressione sessuale non si può ancora risolvere. Freud, che in Totem e Tabù si basa sulla teoria di Darwin dell'orda primitiva, concepisce il complesso edipico come causa della repressione sessuale. Qui però viene manifestamente trascurata la considerazione della società matriarcale. Secondo la linea interpretativa Bachofen-Morgan-Engels appare la possibilità di concepire, al contrario, il complesso edipico, o la forma familiare che ad esso è sottesa, quale conseguenza della repressione sessuale che un tempo si è instaurata. Comunque sia: la psicoanalisi si priverebbe di ulteriori possibilità di indagine nel settore sociale e pedagogico, se volesse negare per il complesso di Edipo quella dialettica che essa stessa ha scoperto nella vita psichica.

La posizione sociale della psicoanalisi

Se ora prendiamo la psicoanalisi come oggetto di una considerazione sociologica ci imbattiamo nelle seguenti questioni:

1) A quali fatti sociali la psicoanalisi deve il suo sorgere? Qual è il suo significato sociologico?

2) Qual è la sua posizione nella società odierna?

3) Qual è il suo compito nel socialismo?

Per la prima questione: come ogni altro fenomeno sociale, la psicoanalisi è connessa a una certa fase dello sviluppo sociale; anch'essa trova le sue condizioni di esistenza in un certo stadio dei rapporti di produzione. E', come il marxismo, un prodotto dell'epoca capitalistica, solo che non ha, come quello, una relazione così diretta con la base economica della società; però sono evidenti le sue relazioni indirette: è una reazione ai rapporti culturali e morali in cui vive l'uomo socializzato. Si tratta principalmente dei rapporti sessuali quali si sono sviluppati sulla scorta delle ideologie sessuali clericali. La rivoluzione borghese del XIX secolo spazzò via in gran parte il modo di produzione feudale e procedette con il libero pensiero contro la religione e le sue leggi morali. Ma la rottura con la morale religiosa si preparò, per esempio in Francia, già al tempo della rivoluzione francese; la borghesia sembrò portare in sé i germi di una nuova morale in generale e sessuale in particolare, opposta a quella della chiesa.

Ma più tardi la borghesia, dopo aver consolidato il suo potere e l'economia capitalistica, diventò reazionaria, si riconciliò con la chiesa, poiché aveva bisogno di essa per opprimere il proletariato, che nel frattempo aveva fatto la sua apparizione, e fece sua di nuovo la morale sessuale religiosa, anche se in una forma diversa, ma sostanzialmente immutata. La condanna della sessualità, il matrimonio monogamico, la castità femminile e, di conseguenza, la frantumazione della sessualità maschile ricevevano ora un un nuovo significato economico, questa volta capitalistico. La borghesia, che aveva rovesciato il feudalesimo, assunse in gran parte le abitudini di vita e i bisogni culturali feudali e dovette anche distinguersi, di contro al «popolo», con leggi morali proprie, e pertanto limitò sempre più i bisogni sessuali. Nella classe borghese la libertà sessuale, per ragioni economiche, è completamente limitata fino alla conclusione del matrimonio e la gioventù maschile cerca la soddisfazione fisica della sessualità con le donne e le ragazze del proletariato. Perciò, anche in base alla contraddizione ideologica di classe, si inasprisce la richiesta di castità per le ragazze borghesi; la doppia morale dei sessi rinasce su base capitalistica.

La doppia morale dei sessi opera come in un circolo, disgregando la sessualità dell'uomo e annientando quella della donna la quale, anche nel matrimonio, in base a quello che è il suo sviluppo, rimane interiormente «casta», cioè fredda, non attraente, scostante; ciò che rafforza a sua volta la doppia morale, poiché l'uomo cerca la sua soddisfazione presso la donna proletaria che per la sua coscienza di classe disprezza ed è costretto ad esibire esteriormente una «moralità» irreprensibile; interiormente si ribella contro la moglie, esternamente dimostra il contrario e trasmette la sua ideologia al figlio e alla figlia. La continua repressione e la continua degradazione sessuale diventano, però, dialetticamente un elemento distruttivo dell'istituzione matrimoniale e dell'ideologia sessuo-morale. Ed ecco la prima tappa del crollo della morale borghese: le malattie psichiche si moltiplicano. La scienza ufficiale, essa stessa prigioniera della repressione sessuale, disprezza la sessualità come oggetto di indagine e guarda con disprezzo al poeta e allo scrittore che, di giorno in giorno, sempre più si occupano di questo scottante problema. Le malattie psichiche, l'isteria e il nervosismo generale, sempre più in aumento, vengono spiegate come «immaginazioni», come conseguenza del «superlavoro».

Alla fine del XIX secolo, in reazione alla scienza condizionata da preconcetti morali, e come segno della seconda fase, quella scientifica, del tramonto della morale borghese, sorge nel seno della stessa classe borghese un ricercatore che afferma che i disturbi psichici contemporanei sono conseguenza della morale sessuale culturale e che le nevrosi in genere, nella loro specifica natura, sono causate da una eccessiva limitazione della sessualità. Questo ricercatore, Freud, viene disprezzato, messo al bando e tacciato di ciarlataneria da parte della scienza ufficiale. Egli difende da solo la sua posizione e per più decenni rimane inascoltato. In questo periodo nasce la psicoanalisi, oggetto di ribrezzo e di orrore per tutto il mondo borghese, non solo per la scienza, poiché tocca le radici della repressione sessuale, uno dei pilastri fondamentali di molte ideologie conservatrici (religione, morale, ecc.). Essa appare nella vita sociale nel medesimo tempo in cui — anche in altro modo — nello stesso campo borghese appaiono i segni di un moto rivoluzionario contro le ideologie esistenti. La gioventù borghese protesta contro la casa paterna e crea un proprio «movimento giovanile». Il significato più intimo di questo è nell'aspirazione alla libertà sessuale. Poiché non si preoccupa, però, di stabilire una alleanza con il movimento proletario, decade dopo aver raggiunto obbiettivi parziali e di secondaria importanza. Giornali borghesi liberali protestano energicamente contro la tutela ecclesiastica. La letteratura borghese comincia a mostrare punti di vista sempre più liberi sulle questioni morali. Ma tutti questi fenomeni, che in parte accompagnano l'apparizione della psicoanalisi e in parte la precedono, si dileguano non appena si dovrebbe fare sul serio; nessuno osa andare fino in fondo e tirare le conseguenze; l'interesse economico prevale e determina persino un'alleanza fra liberalismo borghese e chiesa.

Come il marxismo sociologicamente ha espresso la presa di coscienza delle leggi economiche dello sfruttamento della maggioranza da parte della minoranza, la psicoanalisi ha espresso la presa di coscienza dell'oppressione sessuale sociale. Questo è il principale significato sociologico della psicoanalisi freudiana. Però c'è una differenza sostanziale. Mentre nel primo caso una classe sfrutta e un'altra classe è sfruttata, la repressione sessuale è un fenomeno che abbraccia tutte e due le classi. Dal punto di vista della storia umana, essa è perfino più antica dello sfruttamento di una classe da parte dell'altra. E tuttavia quantitativamente non è identica nelle due classi. Nell'epoca in cui ha cominciato a differenziarsi la classe proletaria, agli inizi del capitalismo, se vogliamo giudicare secondo quanto dicono Marx nel Capitale ed Engels ne La situazione della classe operaia in Inghilterra, non vi è stata quasi alcuna limitazione o repressione della sessualità nel proletariato. La condizione sessuale del proletariato è stata caratterizzata e influenzata dalla sua squallida situazione sociale, come è ancora oggi quella del sottoproletariato. Ma nel corso dello sviluppo capitalistico, quando la classe dominante, nella misura in cui era richiesto dagli interessi della propria conservazione e del profitto, ha preso misure di carattere sociale e ha cominciato a promuovere «previdenze», essa ha determinato un imborghesimento ideologico crescente del proletariato. Cosicché l'effetto della repressione sessuale si è fatto sentire anche nel proletariato, senza raggiungere qvelle dimensioni riscontrabili nella piccola borghesia la quale è diventata più realista del re e segue l'ideale morale del suo modello, della grande borghesia, più rigidamente di questa che invece da tempo ha liquidato la sua morale al suo interno.

Il destino della psicoanalisi nella società borghese dipende dall'atteggiamento della borghesia nei riguardi della repressione sessuale e della sua abolizione.

Per quanto concerne la seconda questione ci domandiamo: può la borghesia tollerare a lungo la psicoanalisi senza riceverne un danno? Ammesso naturalmente che le sue nozioni e le sue formule non vengano annacquate e che il suo significato non venga gradualmente appiattito senza che i suoi rappresentanti se ne accorgano.

Il creatore stesso della psicoanalisi non ha profetizzato niente di buono per il futuro di questa scienza. Egli ha detto che il mondo avrebbe in qualche modo distrutto le sue scoperte non potendole sopportare. Pensava evidentemente solo ad una metà del mondo, alla classe borghese; il proletariato non sa nulla della psicoanalisi e non ne ha ancora preso conoscenza. Mentre non sappiamo ancora quale sarà la posizione che assumerà il proletariato nei riguardi della psicoanalisi, abbiamo indizi sufficienti per studiare l'atteggiamento del mondo borghese.

Che la psicoanalisi venga rifiutata dipende direttamente dall'importanza sociale della repressione sessuale. E nella misura in cui non la condanna, che uso fa il mondo borghese della psicoanalisi? Da un lato c'è la scienza, e prima di tutto la psicologia e la psichiatria, dall'altro il pubblico profano. Per tutti e due vale la frase scherzosa, espressa una volta a mò di dubbio da Freud: c'è da chiedersi, egli ha detto, se la psicoanalisi viene accettata per conservarla o per distruggerla.

Se la psicoanalisi capita nelle mani, o meglio nella testa di chi non ha una formazione psicoanalitica, non si riconosce più l'opera di Freud; la questione della sessualità è giusta, ma le esagerazioni... e dove va a finire l'etica umana? L'analisi è perfettamente giusta ma... la sintesi non è meno necessaria. E quando Freud ha cominciato a costruire la psicologia dell'io sulla sua teoria della sessualità, si è udito un sospiro di sollievo nel mondo scientifico: finalmente Freud comincia a mettere un freno alle sue assurdità, finalmente si parla di ciò che è più «elevato» nell'uomo, e soprattutto della morale... E poco tempo dopo si è sentito parlare soltanto di ideali dell'io, e la sessualità, secondo la scappatoia, era «naturalmente presupposta». Si è parlato di una nuova era della psicoanalisi, di una rinascita... la psicoanalisi è diventata, in una parola, socialmente accettabile.

Non meno desolante, anzi più spiacevole, è la situazione del grande pubblico. Sotto la pressione della morale sessuale borghese, ci si è impadroniti della psicoanalisi come di qualcosa di moda che permette di soddisfare la propria lascivia, si analizzano reciprocamente i propri complessi, si parla nei salotti, all'ora del thè, dei simboli onirici, si discute senza la minima conoscenza specifica prendendo posizione pro o contro la psicoanalisi soltanto perché si tratta di argomenti sessuali; chi è entusiasta della grandiosa «ipotesi», chi — non meno ignorante — è convinto che Freud è un ciarlatano e la sua teoria è una bolla di sapone; e in generale questa «sopravvalutazione unilaterale della sessualità come se non ci fosse nient'altro di più elevato» è riprovata dal «critico», che non sa parlare di altro se non della sessualità. In America si formano associazioni e clubs per discutere di psicoanalisi, la congiuntura è buona e deve essere sfruttata, si dà sfogo alla propria sessualità insoddisfatta e si fanno anche i soldi con una «messa in scena» che osa chiamarsi psicoanalisi. La psicoanalisi è diventata un buon affare. Così la situazione si presenta in mezzo al pubblico dei profani.

E all'interno della psicoanalisi? E' una diserzione dopo l'altra, i ricercatori non resistono alla repressione sessuale. Jung capovolge tutta la teoria analitica e la trasforma in una religione dove non si parla più di sessualità. Parimenti la repressione sessuale porta Adler alla tesi che la sessualità non è altro che un modo di manifestazione della volontà di potenza, e con ciò al distacco dalla psicoanalisi e alla fondazione di una comunità etica. Rank, che è stato uno dei più quotati allievi di Freud, diluendo il concetto di libido nella psicologia dell'io perviene alla sua teoria del corpo materno e del trauma della nascita e, infine, rinnega le nozioni analitiche più essenziali. La repressione sessuale agisce continuamente contro la psicoanalisi. Anche nei circoli psicoanalitici si può riscontrare un forte condizionamento socio-economico che si esercita in un lavoro diretto ad ammorbidire, a ridimensionare, a stabilire compromessi. Dopo l'apparizione de L'io e l'Es, quasi non si parla più di libido, si cerca di ricondurre tutta la dottrina delle nevrosi sul piano dell'io, si proclama che la scoperta del sentimento di colpa inconscio è l'opera grande di Freud, che si è arrivati solo ora a ciò che è più autentico e sostanziale.

Nella terapia delle nevrosi dove si tratta di applicare praticamente agli individui, nella società capitalistica, una tale teoria rivoluzionaria, si presenta con la massima chiarezza la tendenza al compromesso e alla capitolazione davanti alla morale sessuale borghese. La situazione sociale dell'analista gli impedisce, anzi gli rende impossibile, di parlare apertamente della inconciliabilità dell'attuale morale sessuale, del matrimonio, della famiglia borghese, della educazione borghese con la terapia psicoanalitica radicale della nevrosi. Sebbene venga ammesso lo stato precario dei rapporti familiari e che l'ambiente in cui vivono i pazienti è, di solito, il maggiore impedimento alla loro guarigione, si teme — comprensibilmente — di trarre le conseguenze da tale constatazione. Così avviene che per principio della realtà, e per adattamento alla realtà, non si intende una capacità di fronte alla realtà, ma spesso una completa sottomissione a quelle stesse esigenze sociali che hanno generato la nevrosi. Che tutto ciò sia nocivo all'applicazione pratica della psicoanalisi per la guarigione della nevrosi è evidente.

Le attuali condizioni di esistenza della psicoanalisi, che sono condizioni capitalistiche, la soffocano dall'esterno e dall'interno. Freud ha ragione: la sua scienza decade; ma noi aggiungiamo: nella società borghese; se essa non le si adatta, il suo declino è sicuro; però, se le si adatta, subisce la stessa morte del marxismo nelle mani dei socialisti riformisti, vale a dire la morte per appiattimento e soprattutto per l'abbandono della teoria della libido. La scienza ufficiale non ne vorrà sapere nulla dopo, come non ne voleva sapere nulla prima, poiché non la può accettare per i suoi condizionamenti di classe. Gli analisti, che sono ottimisti riguardo alla diffusione della psicoanalisi, sbagliano di grosso. Questa diffusione è proprio il segno del suo incipiente tramonto.

Poiché la psicoanalisi, se applicata senza compromessi, scalza le ideologie borghesi, poiché l'economia socialista costituisce la base di un libero dispiegamento dell'intelletto e della sessualità, la psicoanalisi ha un futuro solo nel socialismo.

Per la terza questione: abbiamo visto che la psicoanalisi non può sviluppare dal proprio seno una concezione del mondo e quindi neppure ne può sostituire alcuna; ma essa comporta un cambiamento dei valori, distrugge, nella sua applicazione pratica alla vita dell'individuo, la religione e le ideologie sessuali borghesi e libera la sessualità. Ma tali sono proprio le funzioni ideologiche del marxismo; questo distrugge i vecchi valori con la rivoluzione economica e con la concezione materialistica; la psicoanalisi fa la stessa cosa, o potrebbe farla, dal punto di vista psicologico. Ma poiché nella società borghese deve restare socialmente inefficace, può compiere la sua opera solo dopo che sia stata fatta la rivoluzione sociale. Taluni analisti credono che essa possa trasformare il mondo mediante un'evoluzione e che possa sostituirsi alla rivoluzione sociale. Questa è un'utopia che si basa su una totale mancanza di comprensione della realtà economica e politica.

La futura importanza sociale della psicoanalisi sembra ritrovarsi in tre settori.

1) Nell'esplorazione della preistoria dell'umanità, come scienza ausiliaria nel quadro del materialismo storico. La storia primitiva condensata nei miti, nei costumi folkloristici e nelle usanze dei popoli primitivi ancor oggi esistenti non è metodologicamente accessibile alla sociologia marxista. Ma questo lavoro può avere successo soltanto con un serio «training» sociologico ed economico da parte degli analisti e se verrà abbandonata la concezione individualistica e idealistica dello sviluppo sociale.

2) Nel settore dell'igiene psichica che può svilupparsi solo sulla base di una economia socialista. Sul fondamento di un'economia ordinata si può parlare veramente anche di una economia libidica ordinata, riguardo a quello che è il governo psichico, ciò che è impossibile per le masse nelle forme borghesi di vita e si può realizzare soltanto per individui singoli. Solo qui la terapia individuale delle nevrosi potrebbe trovare il suo campo d'azione appropriato.

3) Nel settore dell'educazione, quale base psicologica dell'educazione socialista in generale. In conseguenza delle sue cognizioni sullo sviluppo psichico del bambino, essa deve essere considerata indispensabile. Quale scienza ausiliaria della pedagogia nella società borghese è condannata alla sterilità, se non a qualcosa di peggio. Poiché in tale società l'educazione viene fatta soltanto in funzione di questa società stessa, poiché cambiare i metodi educativi restando all'interno della società borghese è soltanto illusorio, la pedagogia psicoanalitica, prima della rivoluzione sociale, può essere applicata soltanto nei binari della società borghese. I pedagogisti psicoanalitici, che si impegnano all'interno di questa società per trasformarla, col tempo sono destinati a subire una sorte simile a quella del prete che andò a trovare un agente di assicurazioni ateo, in punto di morte, per convertirlo, e che se ne ritornò a casa solo con una polizza. La società e più forte delle velleità dei suoi membri isolati.

Metodo e compito di una psicologia sociale analitica (1932)
di E. Fromm

La psicoanalisi è una psicologia scientifica materialistica. Essa ha indicato come motore del comportamento umano pulsioni istintuali e bisogni che vengono alimentati dagli «istinti» i quali hanno un fondamento fisiologico anche se non sono essi stessi direttamente osservabili. Essa ha mostrato che l'attività psichica cosciente equivale soltanto a un settore relativamente piccolo della vita psichica, che molti importanti impulsi del comportamento psichico non sono noti all'uomo. In particolare ha smascherato le ideologie private e collettive come espressione di determinati desideri e bisogni radicati negli istinti e anche nei motivi «morali» e ideali ha scoperto manifestazioni velate e razionalizzate degli istinti (Il super-io, come istanza del comportamento normativo, deve la sua nascita, secondo Freud, ai rapporti affettivi tra il bambino e i genitori, e quindi ha la sua base negli istinti.).

Del tutto in corrispondenza alla suddivisione popolare degli istinti in fame e amore, Freud ha considerato due gruppi di istinti come motori della vita psichica umana: gli istinti di autoconservazione e gli istinti sessuali (A causa degli impasti libidici con gli istinti di autoconservazione e della particolare importanza delle tendenze distruttive, Freud ha modificato le sue concezioni originarie nel senso di contrapporre le tendenze distruttive (istinto di morte) alle tendenze dirette alla conservazione della vita (erotiche). Per quanto importci e di tendenze psicologiche. E si trova anche in antitesi con una posizione originaria di Freud, con la concezione degli istinti come realtà primarie, dotate di desideri e di appetiti, al servizio delle tendenze vitali e che cercano di adattarsi a quest'ultime. Ci sembra essere una conseguenza della concezione generale di Freud che l'attività psichica umana si sviluppa adattandosi agli eventi ed alle necessità della vita, e che gli istinti in quanto tali si contrappongono propriamente al principio biologico della morte. La discussione sul postulato dell'istinto di morte è ancora in corso nell'ambito della psicoanalisi; noi prendiamo le mosse, nella nostra esposizione della teoria psicoanalitica, dalla posizione originaria di Freud.nte sia, di certo l'argomentazione di Freud relativa a queste modificazioni del suo punto di vista originario, tuttavia ha un carattere di gran lunga più speculativo e meno empirico che non la sua posizione originaria. Essa ci sembra basarsi su una commistione, altre volte da Freud evitata, di fatti biologici e di tendenze psicologiche. E si trova anche in antitesi con una posizione originaria di Freud, con la concezione degli istinti come realtà primarie, dotate di desideri e di appetiti, al servizio delle tendenze vitali e che cercano di adattarsi a queste ultime. Ci sembra essere una conseguenza della concezione generale di Freud che l'attività psichica umana si sviluppa adattandosi agli eventi e alle necessità della vita, e che gli istinti in quanto tali si contrappongono propriamente al principio biologico della morte. La discussione sul postulato dell'istinto di morte è ancora in corso nell'ambito della psicoanalisi; noi prendiamo le mosse nella nostra esposizione della teoria psicoanalitica, dalla posizione originaria di Freud.)).

Egli ha denominato libido l'energia insita negli istinti sessuali e libidici i processi psichici che da questa energia sono alimentati. Per istinti sessuali Freud ha inteso, con una corretta estensione dell'uso abituale di questo concetto, tutte le tensioni analoghe agli impulsi genitali che, fisicamente condizionate e localizzate in talune parti del corpo («zone erogene»), mirano a una scarica apportatrice di piacere.

Freud assume come principio fondamentale della vita psichica il «principio del piacere», la tendenza cioè alla massima scarica apportatrice di piacere delle tensioni istintuali. Questo principio del piacere è modificato mediante il «principio della realtà», che sotto l'influenza dell'osservazione della realtà esige la rinuncia o la dilazione del piacere per evitare un dolore più grande o per ottenere successivamente un più grande piacere futuro.

Freud considera la natura della struttura istintuale specifica di un uomo condizionata da due fattori: la costituzione ereditaria e le vicende della vita, soprattutto le vicende della prima infanzia. Egli prende le mosse dal fatto che la costituzione ereditaria e le esperienze vissute costituiscono una «serie di integrazione» e che lo specifico compito analitico è la ricerca dell'influsso delle esperienze vissute sulla costituzione istintuale. Il metodo analitico è quindi squisitamente storico: esso esige la comprensione della struttura istintuale in base alle vicende della vita. Questo metodo ha la sua validità sia per la vita psichica del sano sia per quella del malato, della personalità nevrotica. Ciò che distingue l'uomo nevrotico dal «normale» è il fatto che in quest'ultimo la struttura istintuale si è adattata nel modo ottimale alle sue reali necessità di vita, mentre in quello lo sviluppo istintuale ha incontrato certe difficoltà, che hanno ostacolato un sufficiente adattamento degli istinti alla realtà.

Per poter rendere pienamente comprensibile il fatto dell'adattamento e della modificabilità degli istinti sessuali di fronte alla realtà, è necessario accennare a certe caratteristiche precipue degli istinti sessuali, che li distinguono appunto dagli istinti di autoconservazione.

Gli istinti sessuali contrariamente agli istinti di autoconservazione sono dilazionabili, mentre quelli sono di natura imperativa, cioè una soddisfazione negata oltre un certo limite provoca la morte, oppure è del tutto intollerabile psichicamente. Di conseguenza gli istinti di autoconservazione hanno un primato sugli istinti sessuali; non nel senso che in se stessi svolgano un ruolo maggiore, ma nel senso che in caso di conflitto sono i più pressanti e, fin quando sono insoddisfatti, si mostrano i più forti.

A ciò è intimamente connesso il fatto che le pulsioni degli istinti sessuali sono reprimibili, mentre i desideri che derivano dagli istinti di autoconservazione non possono essere allontanati dalla coscienza e rimanere depositati nell'inconscio. Un'altra più importante differenza tra i due gruppi di istinti è che gli istinti sessuali sono sublimabili, cioè al posto della soddisfazione diretta di un desiderio sessuale si può presentare una soddisfazione remota dall'obiettivo sessuale originario, analogamente con le operazioni dell'io. Gli istinti di autoconservazione non sono capaci di tale sublimazione.

Di particolare importanza è inoltre il fatto che la soddisfazione degli impulsi di autoconservazione ha sempre bisogno di strumenti reali, mentre la soddisfazione degli istinti sessuali spesso può avvenire mediante fantasie, senza l'uso di strumenti obiettivi. Parlando concretamente questo significa che la fame degli uomini si può soddisfare soltanto col pane, ma che per esempio i loro desideri di essere amati si possono soddisfare con la fantasia di un Dio benevolo e amoroso, oppure le loro tendenze sadiche con qualche sanguinoso spettacolo popolare.

Infine è di fondamentale importanza che le diverse forme di manifestazioni degli istinti sessuali — di nuovo, in contrasto con gli istinti di autoconservazione — sono in alto grado permutabili fra loro e dislocabili. In caso di mancata soddisfazione di una pulsione istintuale, questa può essere sostituita da un'altra, la cui soddisfazione per ragioni interne o esterne è possibile. Questa trasformabilità e permutabilità, nell'ambito degli istinti sessuali è una delle chiavi per la comprensione della vita psichica nevrotica come di quella sana, e un elemento essenziale della teoria psicoanalitica. Essa però rappresenta anche un fatto sociale di somma importanza, in quanto consente che siano offerte alle masse, e da loro accettate, proprio quelle soddisfazioni che per ragioni sociali sono disponibili oppure sono gradite alla classe dominante. (Un ruolo speciale svolge l'attivazione e l'appagamento dell'impulso sadico, che tende a tradursi in atto quando altre soddisfazioni istintuali, di natura positiva, sono escluse per motivi socioeconomici. Il sadismo è la grande riserva istintuale, a cui si ricorre quando non si hanno altre — e solitamente più costose — soddisfazioni da offrire alle masse e con il cui ausilio, al tempo si annientano i propri oppositori.)

Riepilogando, dunque, avviene che gli istinti sessuali, in conseguenza della loro capacità di essere dilazionati, repressi, sublimati e trasformati, hanno un carattere molto più elastico e più flessibile degli istinti di autoconservazione. Essi si modellano su questi ultimi, si muovono sulla loro scia. Il fatto della maggiore flessibilità e trasformabilità degli istinti sessuali, però, non significa che essi alla lunga possano restare insoddisfatti. Non c'è soltanto un minimo di esistenza fisico, ma anche psichico, cioè un livello minimo necessario di soddisfazione degli istinti sessuali. Le differenze che sono state qui delineate tra istinti di autoconservazione e istinti sessuali, piuttosto, significano soltanto che gli istinti sessuali possono adattarsi in larga misura alle possibilità di soddisfazione, cioè alle circostanze reali della vita. Essi si sviluppano nel senso di questo adattamento, e solo in individui nevrotici si trovano disturbi della capacità di adattamento. La psicoanalisi ha mostrato proprio questa modificabilità degli istinti sessuali e ha insegnato a comprendere la struttura istintuale dell'individuo in base alle vicende della vita, ovvero in base al loro influsso sulle disposizioni istintuali ereditarie. L'adattamento attivo e passivo di realtà biologiche, degli istinti, a realtà sociali è il punto di vista essenziale della psicoanalisi, e ogni indagine di psicologia individuale prende le mosse da questo punto di vista fondamentale.

Freud si è occupato inizialmente — e anche in seguito prevalentemente — della psicologia dell'individuo. Ma dopo che furono scoperti negli istinti i motivi del comportamento umano e nell'inconscio le scaturigini segrete delle ideologie e dei modi di comportamento, fu inevitabile che gli autori psicoanalitici cercassero di operare il passaggio dal problema dell'individuo a quello della società, dalla psicologia individuale alla psicologia sociale. Si dovette intraprendere il tentativo di ritrovare con gli strumenti della psicoanalisi il senso nascosto e il fondamento dei modi di comportamento irrazionali così palesi nella vita sociale, come essi si esprimono non solo nella religione e nei costumi popolari, ma anche nella politica e nell'educazione. E certamente dovevano nascere alcune difficoltà, che erano evitate finché ci si limitava al campo della psicologia individuale.

Ma queste difficoltà nulla tolgono al fatto che la formulazione del problema rappresenta una conseguenza scientifica, pienamente corretta e legittima, delle premesse della psicoanalisi. Se essa ha trovato nella vita degli istinti, nell'inconscio, la chiave per la comprensione del comportamento umano, deve avere anche il diritto e la possibilità di asserire qualcosa di essenziale sui retroscena del comportamento sociale. Poiché anche la «società» si compone di singoli individui viventi, che non possono sottostare ad altre leggi psicologiche se non a quelle che la psicoanalisi ha scoperto nell'individuo.

Ci sembra quindi inesatto anche riservare, come fa W. Reich, alla psicoanalisi il campo della psicologia individuale e sostanzialmente contestare la sua utilizzabilità riguardo a fenomeni sociali come la politica, la coscienza di classe, ecc. («L'oggetto della psicoanalisi è la vita psichica dell'uomo socializzato; quella della massa viene presa in considerazione da essa solo nella misura in cui si manifestano nella massa fenomeni individuali (per esempio, il problema del capo); inoltre, nella misura in cui la psicoanalisi può chiarire fenomeni dell'"anima della massa", come angoscia, panico, sottomissione, ecc., in base alle sue esperienze relative all'individuo. Ma sembra che il fenomeno della coscienza di classe sia ad essa difficilmente accessibile e problemi come quello dei movimenti delle masse, della politica, dello sciopero, che appartengono alla sociologia, non possano essere oggetto del suo metodo» (Materialismo dialettico e psicoanalisi). Sottolineiamo, a causa dell'importanza essenziale di questo problema metodologico, questa differenza nei confronti del punto di vista rappresentato da Reich, che egli, come mostrano i suoi ultimi lavori, sembra avere modificato in modo utile e fecondo. Torneremo ancora in seguito a parlare delle molteplici concordanze con le sue eccellenti ricerche empiriche sociopsicologiche».)

Il fatto che un fenomeno trova la sua trattazione all'interno della scienza della società non significa assolutamente che non possa essere oggetto della psicoanalisi (così come sarebbe inesatto dire che un oggetto, che si indaga dal punto di vista fisico, non possa essere indagato anche dal punto di vista chimico). Ciò significa soltanto che esso, nella misura in cui (ma anche esclusivamente nella misura in cui) alcuni fatti psichici svolgono un ruolo nel fenomeno, è oggetto della psicoanalisi e specialmente della psicologia sociale, che ha da individuare le radici e le funzioni sociali del fenomeno psichico. La tesi che la psicologia abbia da fare solo con l'individuo e la sociologia con «la» società, è falsa. Poiché, come la psicologia ha sempre da fare con l'individuo socializzato, così la sociologia ha da fare con una molteplicità di individui, la cui struttura e i cui meccanismi psichici devono essere presi in considerazione dalla sociologia. In seguito vedremo quale ruolo i fatti psichici svolgono proprio nei fenomeni sociali e che proprio qui è il luogo metodologico di una psicologia sociale analitica.

La sociologia con cui la psicoanalisi sembra avere i maggiori punti di contatto, ma anche i maggiori contrasti, è il materialismo storico.

I maggiori punti di contatto, li troviamo nel fatto che sono entrambe scienze materialistiche. Esse non partono dalle «idee», ma dalla vita terrena, dai bisogni; e si incontrano specialmente nella loro comune valutazione della coscienza, che a loro sembra essere non il motore del comportamento umano, bensì il riflesso di altre forze nascoste. Ma qui, nella questione relativa alla natura di questi fattori reali che determinano la coscienza, sembra sussistere un inconciliabile contrasto. Il materialismo storico vede nella coscienza l'espressione dell'essere sociale, la psicoanalisi quella dell'inconscio, degli istinti. Nasce la domanda, che non può essere elusa, se queste due tesi si trovano in contraddizione reciproca e, in caso contrario, quali rapporti vi siano tra di loro e, infine, se e perché una utilizzazione dei metodi psicoanalitici rappresenta un arricchimento per il materialismo storico.

Prima di volgerci all'esame di questi problemi, ci sembra necessario discutere quali premesse la psicoanalisi porta con sé ai fini di una utilizzazione per i problemi sociali.

Freud non ha mai posto l'uomo isolato, sciolto dalle sue connessioni sociali, come oggetto della psicologia. «La psicologia individuale è basata in verità, sull'uomo singolo e ricerca in qual modo egli tenta di ottenere la soddisfazione delle sue pulsioni istintuali, ma essa arriva solo raramente, in determinate condizioni eccezionali, al punto di prescindere dai rapporti di questo singolo con gli altri individui. Nella vita psichica del singolo si deve normalmente prendere in considerazione l'altro in quanto modello, in quanto oggetto, in quanto collaboratore e in quanto avversario; e quindi la psicologia individuale, dall'inizio, è al tempo stesso anche psicologia sociale in questo senso più esteso, ma pienamente legittimo».

Freud ha però anche tolto di mezzo fin dalle radici l'illusione di una psicologia sociale il cui oggetto sarebbe un gruppo come tale, «la» società o altrimenti una formazione sociale con una corrispondente «anima della massa» o «anima della società». Egli piuttosto prende sempre le mosse dal fatto che ogni gruppo si compone solo di individui e che soltanto individui in quanto tali sono soggetti di qualità psichiche. Né, del pari, Freud ha postulato un «istinto sociale». Ciò che distingue l'uomo in quanto tale non è per lui «alcun istinto originario e indecomponibile»; egli vede «gli inizi della sua formazione in un circolo più ristretto qual è la famiglia». Ne deriva che le qualità sociali debbono la loro nascita, il loro rafforzamento e il loro indebolimento all'influsso di determinate relazioni ambientali, di certe condizioni di vita sulla struttura istintuale.

Se per Freud oggetto della psicologia è sempre solamente l'uomo socializzato, l'uomo nella interdipendenza sociale, anche per lui — e abbiamo già accennato precedentemente a ciò — l'ambiente e le condizioni di vita dell'uomo svolgono il ruolo decisivo sia per il suo sviluppo psichico che per la comprensione teoretica di esso. Freud ha riconosciuto il condizionamento bio-fisiologico degli istinti, ma ha anche per l'appunto mostrato in che misura questi istinti sono modificabili e come il fattore che opera tale modificazione sia l'ambiente, la realtà sociale.

La psicoanalisi sembra quindi recare con sé tutte quelle premesse che rendono il suo metodo utilizzabile anche per le ricerche sociopsicologiche ed eliminano ogni conflitto con la sociologia. Essa indaga i tratti psichici comuni ai membri di un gruppo, e cerca di spiegare questi atteggiamenti psichici comuni in base a vicende comuni di vita. Queste vicende di vita però non rientrano — e tanto meno, quanto più grande è il gruppo — nell'ambito di ciò che è casuale e personale, ma sono identiche con la situazione socioeconomica di questo gruppo. La psicologia sociale analitica vuol dire dunque: comprendere la struttura istintuale, l'atteggiamento libidico, in gran parte inconscio, di un gruppo in base alla sua struttura socioeconomica.

Ma qui sembra possibile un'obiezione. La psicoanalisi spiega lo sviluppo istintuale in base alle vicende di vita dei primi anni dell'infanzia, quindi di un periodo in cui l'uomo ancora non ha, si può dire, rapporti con «la società», ma vive quasi esclusivamente nel circolo familiare. Come potrebbero quindi, secondo la concezione psicoanalitica, i rapporti socioeconomici acquisire una tale importanza? Si tratta di uno pseudoproblema. E' vero che j primi influssi decisivi sul bambino che cresce provengono dalla famiglia, ma la struttura globale della famiglia, tutte le tipiche relazioni emozionali all'interno di essa, tutti gli ideali educativi da essa rappresentati sono essi stessi condizionati dallo sfondo sociale e di classe della famiglia, dalla struttura sociale, da cui essa trae le sue origini (per esempio, i rapporti emozionali tra padre e figlio sono completamente diversi in una famiglia della società borghese, patriarcale e nella «famiglia» di una società matriarcale). La famiglia è il mezzo attraverso cui la società o la classe imprime sul bambino, e quindi sull'adulto, la struttura ad essa corrispondente e per essa specifica; la famiglia è l'agenzia psicologica della società.

Finora i lavori psicoanalitici che tentano un'applicazione della psicoanalisi ai problemi sociali, in massima parte, non rispondono alle esigenze che si devono avanzare nei confronti di una psicologia sociale analitica (Anche se si prescinde da indagini scientificamente prive di valore (come per esempio, dallo scritto assai superficiale di A. Kolnoi, che un tempo si atteggiava a psicoanalista, sulla psicoanalisi e la sociologia), questa critica vale per quegli autori come Reik, Roheim e altri, che hanno trattato i temi sociopsicologici. Fa eccezione accanto a S. Bernfeld, che ha richiamato in particolare l'attenzione sul condizio-namento sociale di tutte le iniziative pedagogiche, (Sysiphos oder über die Greuzen der Enziechung), soprattutto W. Reich, la cui valutazione del modo della famiglia concorda in larga parte con il punto di vista, qui sviluppato. Reich ha indagato specialmente ed esaurientemente l'importante problema del condizionamento sociale e della funzione sociale della morale sessuale).

L'errore comincia nella valutazione della funzione della famiglia. Si è visto, certo, che il singolo è da intendere come essere socializzato, si è scoperto che sono i rapporti del bambino con i diversi membri della famiglia che determinano in modo così decisivo il suo sviluppo istintuale, ma si è dimenticato quasi completamente che la famiglia in tutta la sua struttura psicologica e sociale, con gli scopi educativi e gli atteggiamenti affettivi ad essa specifici, è il prodotto di una determinata struttura sociale e, in senso più stretto, di una determinata struttura di classe, che essa effettivamente è soltanto l'agenzia psicologica della società e della classe da cui si origina. Si era trovato il punto di inserzione, in base al quale si poteva comprendere l'azione psicologica della società sul bambino, ma non si è stati in grado di riconoscerlo. Come è stato possibile ciò? I ricercatori psicoanalitici avevano a tale proposito soltanto un pregiudizio, che condividono con tutti gli altri ricercatori borghesi — anche progressisti: l'assolutizzazione della società borghese-capitalistica e la credenza, più o meno chiaramente cosciente, che essa sia la società «normale» e che i fatti psichici pertinenti ad essa e che in essa si possono ritrovare siano tipici per «la» società in genere.

Vi era però anche un motivo particolare, che ispirava agli autori psicoanalitici questo errore. Oggetto delle loro ricerche erano, soprattutto, persone sane e malate appartenenti alla moderna società borghese, ed anche in prevalenza alla classe borghese (Da un punto di vista psicologico, in relazione all'individuo, sono da distinguere i tratti tipici per la società globale da quelli tipici per la sua classe, ma poiché la struttura psichica della società globale dà la sua impronta, in ampia misura, alle singole classi mediante certi tratti fondamentali, i tratti specifici della classe, malgrado tutto il loro peso, sono soltanto di importanza secondaria di fronte a quelli della società globale. Proprio la contraddizione tra l'unità relativa — almeno voluta e ricercata — della struttura psichica delle diverse classi e l'antagonismo dei loro interessi economici è una delle caratteristiche delle società classiste, occultata mediante ideologie. Quanto più profondamente una società entra in crisi dal punto di vista economico, sociale e psicologico, quanto più svanisce la forza che tiene unita e che informa tutta la società, ovvero la forza della classe che in essa ha l'egemonia, tanto più grandi diventano anche le differenze della struttura psichica delle diverse classi), dove lo sfondo sociale, che condizionava la struttura familiare, era identico o costante.

Ciò che determinava le vicende della vita e le differenziava erano quindi gli avvenimenti individuali, personali e, considerati da un punto di vista sociale, casuali, che riposavano su questo fondamento comune. I tratti psichici che si originavano da una società autoritaria, organizzata sul dominio e sulla sottomissione di classe, sull'acquisizione secondo metodi razionali ecc., erano comuni a tutti gli oggetti di indagine; ciò che li differenziava era il fatto che uno aveva un padre troppo severo, che da bambino temeva in modo eccessivo, un altro una sorella un po' più grande, alla quale andava tutto il suo amore, o un terzo una madre, che lo teneva così fortemente avvinto a sé da non poter più rinunciare a questo legame libidico. Certamente queste vicende personali erano della massima importanza per lo sviluppo individuale, personale, e con l'eliminazione delle difficoltà psichiche derivanti da queste vicende l'analisi, come terapia, aveva assolto il suo compito, cioè aveva reso il paziente un uomo adattato alla realtà sociale esistente. Più in là non andava il suo obiettivo terapeutico — e non doveva andare; più in là, però, non andava neanche la comprensione teorica. Di più non era necessario per il campo di lavoro essenziale dell'analisi, la psicologia individuale, poiché la trascuranza della struttura sociale condizionante la struttura familiare equivaleva per la psicologia individuale a una fonte di errore praticamente irrilevante.

Del tutto diversamente andavano le cose, quando si passava dalle indagini della psicologia individuale a quelle sociopsicologiche. Ciò che era in quella sede una trascuranza praticamente irrilevante, doveva qui diventare fin da principio una fonte di errore fatale a priori per l'intero lavoro.

Una volta assunta la struttura della società borghese e della sua famiglia patriarcale come «normale», una volta che si ebbe imparato, durante il lavoro di psicologia individuale, a comprendere le differenze individuali in base a traumi in sé e per sé casuali, si cominciò corrispondentemente a considerare anche i diversi fenomeni sociopsico- logici dallo stesso punto di vista del trauma, quindi di ciò che è casuale sociologicamente.

Su questa strada si arrivò, di necessità, al punto di rinunciare al metodo analitico vero e proprio. Poiché non ci si curava della diversità delle «vicende di vita», cioè della situazione socioeconomica delle altre formazioni sociali, e perciò neanche si cercava di comprendere la loro struttura psichica in base alla loro struttura sociale, si dovette analogizzare invece che analizzare, cioè si trattò l'umanità, o una determinata società, come un individuo, si trasferirono gli specifici meccanismi che si erano trovati nell'uomo di oggi a tutte le formazioni sociali possibili e si «spiegò» allora la loro struttura psichica in base all'analogia con certi fenomeni, soprattutto di natura morbosa, che si riscontravano in maniera tipica nell'uomo della nostra società.

In un tale procedimento analogico si trascurò un punto di vista, che appartiene addirittura ai fondamenti della psicologia individuale analitica: il fatto che la nevrosi — sia il sintomo nevrotico che il tratto di carattere nevrotico — è il risultato di un adattamento carente della struttura istintuale di un individuo «anormale» alla realtà a lui data, e che invece nelle masse, quindi negli individui «sani», è presente proprio la capacità di adattamento; e quindi già per questa ragione i fenomeni della psicologia di massa fondamentalmente non possono esser compresi in analogia con quelli nevrotici, ma solo come risultato dell'adattamento della struttura istintuale alla realtà sociale, spesso a un tipo di realtà che diverge più o meno fortemente da quella esistente.

L'esempio più caratteristico di questo procedimento è l'assolutizzazione del «complesso di Edipo» (dell'odio contro il padre derivante dalla rivalità nei confronti della madre), nel senso di farne un meccanismo umano universale, sebbene ricerche comparate di sociologia e di psicologia culturale mostrino con ogni verosimiglianza che questa specifica attitudine emozionale è tipica soltanto per la famiglia della società "patriarcale e non riveste un'carattere così universalmente umano. L'assolutizzazione del complesso di Edipo condusse Freud a basare lo sviluppo di tutta l'umanità su questo meccanismo dell'odio contro il padre e delle reazioni che ne derivano, senza che venisse prestata attenzione al processo materiale dei singoli gruppi presi in esame.

Se il genio di Freud, anche con un punto di partenza sociologicamente falso, ha pur sempre scoperto qualcosa di fecondo e di importante (Nel Futuro di una Illusione - 1927 -, Freud si allontana da questo punto di vista che trascura la realtà sociale e le sue trasformazioni e perviene, mediante il riconoscimento dell'importanza delle condizioni economiche, dalla problematica tipica della psicologia individuale, come è possibile la religione nel senso della psicologia (individuale) — cioè in quanto ripetizione dell'atteggiamento infantile verso il padre — alla problematica sociopsicologia, perché la religione è socialmente possibile e necessaria. Egli risponde che la religione è stata necessaria finché gli uomini avevano bisogno dell'illusione religiosa a causa della loro impotenza di fronte alla natura, quindi a causa del grado minimo dello sviluppo delle forze produttive, ma che essa, con la crescite della tecnica, e anche con la concomitante crescita dell'uomo, diventa una illusione superflua e dannosa.

Anche se certamente in questo scritto non vengono trattate tutte le rilevanti funzioni sociali della religione, in particolare neanche il problema della concessione di determinate forme religiose con determinate costellazioni sociali, tuttavia questo scritto di Freud è quello che più si avvicina, per il metodo e il contenuto, a una psicologia sociale materialistica. Quanto al contenuto, si ricordi solo la frase: «Non c'è bisogno di dire che una cultura, che lascia insoddisfatti una parte così grande dei suoi membri e li spinge alla rivolta, né ha probabilità di conservarsi a lungo, né lo merita»). Il libro di Freud ha qualcosa in comune col punto di vista del giovane Marx, che potrebbe servire ad esso come motto: «Il superamento della religione in quanto felicità illusoria del popolo è la rivendicazione della sua felicità reale. L'esigenza di rinunciare alle illusioni sulla propria condizione è l'esigenza di superare una condizione che ha bisogno dell'illusione. La critica della religione è dunque "in nuce" la critica di quella valle di lacrime la cui aureola è la religione». Nel suo lavoro concernente problemi sociopsicologici, Il disagio della civiltà, Freud non porta avanti, però, questi accenni né dal punto di vista del metodo, né del contenuto. Esso è da considerare, piuttosto, in antitesi con II futuro di una Illusione), presso gli altri autori psicoanalitici questa fonte di errore doveva condurre a un risultato tale da compromettere la psicoanalisi agli occhi della sociologia, e specialmente di quella marxista.

Ma è stato un errore incolpare la psicoanalisi in quanto tale. Al contrario, bisognava soltanto che il metodo classico della psicologia individuale analitica fosse coerentemente applicato alla psicologia sociale, perché potesse condurre a risultati del tutto ineccepibili. L'errore non si trovava nel metodo psicoanalitico, ma nel fatto che gli autori psicoanalitici cessavano di applicarlo in modo coerente e corretto, allorquando svolgevano ricerche, invece che su individui, su società, gruppi, classi, insomma su fenomeni sociali.

A questo punto è opportuna un'osservazione integrativa.

Abbiamo messo al centro della nostra esposizione la modificabilità dell'apparato istintuale mediante l'azione di fattori esterni, cioè sociali in ultima analisi. Non può essere però trascurato il fatto che l'apparato istintuale, quantitativamente e qualitativamente, presenta certi limiti alla sua modificabilità, che sono condizionati fisiologicamente e biologicamente, e sottostà all'influsso dei fattori sociali solo nell'ambito di questi limiti. A causa della potenza delle energie in esso immagazzinate, l'apparato istintuale stesso rappresenta una forza altamente attiva, in cui è insita la tendenza a trasformare le condizioni di vita nel senso degli obiettivi istintuali. Nel gioco di influssi reciproci degli impulsi psichici e delle condizioni economiche, spetta un primato a quest'ultime. Non nel senso che esse rappresentano il motivo «più forte» — questo costituirebbe uno pseudoproblema, poiché non si tratta di «motivi» quantitativamente paragonabili che si trovano sullo stesso piano —, ma nel senso che la soddisfazione di una gran parte dei bisogni, specialmente dei più pressanti, dei bisogni di autoconservazione, è vincolata alla produzione materiale e la modificabilità della realtà economica, esterna agli uomini, è di gran lunga inferiore a quella* dell'apparato istintuale umano, specialmente a quella degli istinti sessuali.

L'applicazione coerente del metodo della psicologia analitica individuale ai fenomeni sociali dà luogo al seguente metodo sociopsicologico: i fenomeni sociopsicologici sono da comprendere come processi dell'adattamento attivo e passivo dell'apparato istintuale alla situazione socioeconomica. L'apparato istintuale stesso è — in una certa misura — biologicamente dato, ma ampiamente modificabile; alle condizioni economiche spetta il ruolo di fattori formativi primari. La famiglia è il mezzo essenziale, mediante il quale la situazione economica esercita il suo influsso formativo sulla psiche del singolo. La psicologia sociale deve spiegare gli atteggiamenti psichici e le ideologie comuni e socialmente rilevanti — e in particolare le loro radici inconsce in base all'azione delle condizioni economiche sulle pulsioni libidiche.

Se il metodo della psicologia sociale sembra essere in perfetto accordo tanto col metodo della psicologia individuale freudiana quanto con le esigenze della concezione materialistica della storia, nascono nuove difficoltà, quando questo metodo analitico viene confrontato con una interpretazione falsa, e molto divulgata, della teoria marxista: cioè con la concezione del materialismo storico come teoria psicologica e specialmente come psicologia econo- micistica.

Se effettivamente, come ritiene Bertrand Russell (In un articolo pubblicato nel 1927 sul «Forward» israelitico: «Perché la psicoanalisi è popolare?» (citato da Kautsky, Der historische Materialismus, vol. 1, pag. 340), Russell scrive: «Assai comprensibilmente essa (la psicoanalisi) è del tutto inconciliabile col marxismo. Marx pone l'accento sul motivo economico, che si trova essenzialmente connesso con l'autoconservazione, la psicoanalisi invece sottolinea il motivo biologico che è connesso con l'autoconservazione mediante la procreazione. Indubbiamente i due punti di vista sono unilaterali, tutti e due i motivi svolgono un loro ruolo». Russell parla poi della mosca effimera, che allo stadio di larva ha soltanto organi per mangiare, ma non per amare, mentre essa, in quanto insetto completamente sviluppato (Imago), dispone soltanto di organi per la riproduzione, ma non per il nutrimento. Questi ultimi essa non li usa, poiché in questo stadio rimane in vita solo alcune ore. Che cosa accadrebbe, se la mosca effimera potesse pensare teoreticamente? «Come larva sarebbe marxista, come Imago freudiana». Soggiunge Russell, Marx, «il topo di biblioteca del British Museum» può essere il rappresentante vero e proprio della filosofia delle larve. Russell stesso si è sentito maggiormente attratto da Freud, perché «egli non è insensibile alle gioie dell'amore, non si intende affatto del modo come si fanno i soldi, quindi dell'economia ortodossa, che è stata creata dai vecchi padroni defunti»), Marx avesse visto il motivo decisivo del comportamento umano nel «fare soldi» e Freud nell'amore, allora le due dottrine sarebbero inconciliabili, come crede Russell. Ma se la mosca effimera citata da Russell, potesse pensare davvero teoreticamente, direbbe — invece della risposta che le è stata messa in bocca — che Russell intende la psicoanalisi e anche il marxismo in modo assai erroneo, che la psicoanalisi indaga l'adattamento di fattori biologici, degli istinti, a fattori sociali, e che il marxismo non è affatto una teoria psicologica.

Russell non è il solo che fraintende entrambe le teorie, ed egli si trova in compagnia di un gran numero di teorici e di concezioni assai divulgate.

Questa interpretazione della concezione materialistica della storia come psicologia economicistica è rappresentata in modo particolarmente palese e drastico da Hendrik de Man. Egli dice:

«Marx stesso notoriamente non ha mai formulato la sua dottrina dei motivi. Egli non ha mai definito che cosa si debba intendere per classe; la morte ha interrotto il suo ultimo lavoro, quando stava per dedicarsi a questa indagine. Sulle concezioni fondamentali, da cui parte, tuttavia non sussiste alcun dubbio; queste trovano la loro verifica anche in mancanza di una definizione, (in quanto rappresentano una premessa tacitamente accolta) attraverso una costante applicazione sia nella sua attività scientifica sia in quella politica. Ogni assioma economico, e ogni convinzione politico-strategica di Marx, poggia sulla premessa che i motivi della volontà umana, per mezzo dei quali si attua il progresso sociale, siano dettati in primo luogo dall'interesse economico. La stessa convinzione esprime il linguaggio dell'odierna psicologia sociale in quanto definisce il comportamento sociale in base all'istinto di acquisizione, cioè l'istinto all'appropriazione di valori materiali.

Se Marx stesso ha ritenuto superflue queste o simili formulazioni, ciò si spiega facilmente dato che il loro contenuto era considerato ovvio da tutta l'economia del suo tempo».

Quella che Hendrik de Man ritiene una «premessa tacita del marxismo», tacita poiché era un'idea ovvia per tutti gli economisti contemporanei (leggi: borghesi), non è assolutamente la concezione di Marx, che anche in parecchi altri casi non ha mai condiviso il punto di vista dei teorici «del suo tempo».

Anche Bernstein non è molto lontano, sebbene in maniera meno esplicita, da questa interpretazione psicologistica, quando vuole intraprendere una specie di riabilitazione del materialismo storico con la seguente osservazione:

«La concezione economica della storia non significa di necessità che si riconoscono soltanto forze economiche, soltanto motivi economici, ma semplicemente che l'economia costituisce la forza sempre decisiva, il cardine dei grandi movimenti nel corso della storia».

Dietro questa confusa formulazione si nasconde la concezione del marxismo come psicologia economicistica, che da Bernstein è depurata e corretta in senso idealistico. (Kautsky rifiuta del pari, all'inizio del suo libro Der historische Materialismus, l'interpretazione psicologica in modo assai risoluto, ma integra il materialismo storico con una psicologia meramente idealistica, mediante il postulato di un «istinto sociale» originario.)

L'idea che l'«istinto di acquisizione» sia il motivo essenziale od unico dell'agire umano è un'idea del liberalismo. Essa è stata adoperata da parte borghese come un argomento di natura psicologica contro la possibilità di attuazione del socialismo (Come, in genere, una gran parte degli attacchi diretti contro il materialismo storico non colpiscono questo, ma le sue contaminazioni specificamente borghesi, introdotte di soppiatto da «amici» o nemici.); d'altronde, però, il marxismo è stato interpretato dai suoi seguaci piccolo-borghesi nel senso di questa psicologia economicistica. In realtà il materialismo storico è molto lontano dall'essere una teoria psicologica. Esso ha soltanto alcune, molto poche, premesse psicologiche.

In primo luogo che sono gli uomini che fanno la loro storia, poi che sono i bisogni che motivano l'agire e il sentire degli uomini (fame e amore) e, inoltre, che questi bisogni nel corso dello sviluppo storico crescono e questa crescita dei bisogni rappresenta una condizione per la crescita dell'attività economica («Come il selvaggio deve lottare con la natura, per conservare la sua vita e riprodurla, così deve fare l'uomo civilizzato, e deve farlo in tutte le formé sociali e in tutte le condizioni produttive possibili. Col suo sviluppo si allarga questo dominio sulla necessità naturale, poiché (siamo noi a sottolineare) i bisogni crescono; ma al tempo stesso crescono le forze produttive, che soddisfano questi bisogni». Marx, Kapital).

All'interno del materialismo storico il fattore economico svolge un ruolo in connessione con la psicologia solo in quanto i bisogni umani — e in primo luogo quelli di autoconservazione — trovano in gran parte il loro soddisfacimento mediante la produzione di beni; quindi la leva e l'impulso alla produzione è da cercare nei bisogni. Marx ed Engels hanno sottolineato che, tra i bisogni quelli di autoconservazione sopravanzano tutti gli altri, però non si sono pronunciati in modo particolareggiato sulla qualità dei diversi istinti e bisogni. Certamente non hanno mai ritenuto l'«istinto di acquisizione», il bisogno che si dirige all'acquisizione in sé, all'acquisizione come fine a se stessa, come il bisogno unico o anche soltanto il più fondamentale. E' davvero una ingenua assolutizzazione di un tratto psichico, che nella società capitalistica ha conseguito una forza inaudita, qualificarlo come universalmente umano con questa forza e con questo rilievo.

Meno che a chiunque altro si può attribuire a Marx e ad Engels una tale trasfigurazione di tratti capitalistico-borghesi in tratti universalmente umani. Essi sapevano molto bene quale posto spetta alla psicologia nell'ambito della sociologia, ma non erano psicologi e non volevano esserlo, facendo asserzioni più circostanziate al di là di questi accenni di carattere generale sul contenuto e sul meccanismo del mondo degli istinti umani. Non potevano disporre inoltre, prescindendo da alcuni spunti certamente da non sottovalutare nella letteratura dell'illuminismo francese (soprattutto Helvetius), di alcuna psicologia scientifica materialistica. Per prima la psicoanalisi ha fornito questa psicologia e ha mostrato che l'«istinto di acquisizione» svolge, nell'economia psichica dell'uomo, un ruolo importante, ma accanto ad altri bisogni (genitali, sadici, narcisistici ecc.) e non assolutamente un ruolo predominante. In particolare essa può mostrare che in gran parte l'«istinto di acquisizione» non ha, come sua causa profonda, il bisogno di guadagnare o di possedere, ma che esso stesso è soltanto una manifestazione dei bisogni narcisistici, del desiderio di trovare approvazione da parte di se stessi e da parte degli altri.

E' chiaro che in una società, che tributa a chi possiede, al ricco, il massimo di approvazione e di ammirazione, i bisogni narcisistici di chi vive in questa società devono condurre a una straordinaria intensificazione del desiderio di possedere; mentre in una società, in cui il possesso non è la base della stima sociale, ma per esempio le opere utili alla comunità, gli stessi impulsi narcisistici non si esprimono nella forma dell'«istinto di acquisizione», bensì in quella dell'«istinto» alla produzione socialmente utile. Poiché i bisogni narcisistici appartengono alle tendenze più elementari e più potenti, è molto importante rendersi conto che gli obiettivi e i contenuti concreti delle tendenze narcisistiche dipendono dalla struttura di una determinata società e che quindi l'«istinto di acquisizione» deve in gran parte il suo ruolo imponente alla stima particolarmente alta del possesso nella società borghese.

Se dunque nella concezione materialistica della storia si parla di cause economiche — prescindendo dal significato or ora ricordato — non si intende l'economia come motivo psicologico soggettivo, ma come condizione obiettiva dell'attività umana. Tutto l'agire umano, la soddisfazione di tutti i bisogni dipende dalla peculiarità delle condizioni economico-naturali date, e sono queste condizioni che prescrivono le modalità della vita degli uomini. La coscienza degli uomini è per Marx da comprendere soltanto in base al loro essere sociale, alla loro vita terrena, reale, condizionata dallo stato delle forze produttive.

«La produzione delle idee, delle rappresentazioni, della coscienza, è in primo luogo direttamente intrecciata all'attività materiale e alle relazioni materiali degli uomini, linguaggio della vita reale. Le rappresentazioni e i pensieri, lo scambio spirituale degli uomini appaiono qui ancora come emanazione diretta del loro comportamento materiale. Ciò vale allo stesso modo per la produzione spirituale, quale essa si manifesta nel linguaggio della politica, delle leggi,- della morale, della religione, della metafisica, ecc. di un popolo. Sono gli uomini i produttori delle loro rappresentazioni, idee ecc., ma gli uomini reali, operanti, così come sono condizionati da un determinato sviluppo delle loro forze produttive e dalle relazioni che vi corrispondono fino alle loro formazioni più estese. La coscienza non può mai essere qualche cosa di diverso dall'essere cosciente, e l'essere degli uomini è il processo reale della loro vita. Se nell'intera ideologia gli uomini e i loro rapporti appaiono capovolti come in una camera oscura, questo fenomeno deriva dal processo storico della loro vita, proprio come il capovolgimento degli oggetti sulla retina deriva dal loro immediato processo fisico».

Il materialismo storico concepisce il processo della storia come il processo dell'adattamento attivo e passivo dell'uomo alle condizioni che a lui sono naturalmente date. «Il lavoro è in primo luogo un processo tra uomo e natura, un processo in cui l'uomo media, regola e controlla il suo ricambio con la natura mediante la propria attività. Egli stesso si trova di fronte alla natura come una forza naturale».

L'uomo e la natura sono i due poli che agiscono reciprocamente. Il processo storico rimane sempre vincolato ai dati di fatto delle condizioni naturali esterne all'uomo e della costituzione propria di quest'ultimo. Sebbene Marx abbia dato un particolare risalto alla capacità portentosa dell'uomo di trasformare la natura e se stesso nel processo sociale, ha pur sempre sottolineato che tutte le trasformazioni sono vincolate alle condizioni naturali. Ciò distingue il suo punto di vista da certe posizioni idealistiche, che attribuiscono alla volontà umana una potenza illimitata.

Marx ed Engels dicono nella Ideologia Tedesca:

«I presupposti da cui muoviamo non sono arbitrari, non sono dogmi: sono presupposti reali, dai quali si può astrarre solo nell'immaginazione. Sono gli individui reali, la loro azione e le loro condizioni materiali di vita, tanto quelle che essi hanno trovato già esistenti quanto quelle prodotte dalla loro stessa azione. Questi presupposti sono dunque constatabili per via puramente empirica.

Il primo presupposto di tutta la storia umana è naturalmente l'esistenza di individui umani viventi. Il primo dato di fatto da constatare è dunque l'organizzazione fisica di questi individui e il loro rapporto, che ne consegue, verso il resto della natura. Qui naturalmente non possiamo addentrarci nell'esame né della costituzione fisica dell'uomo stesso, né delle condizioni naturali trovate dagli uomini, come le condizioni geologiche, oro-idrografiche, climatiche, e così via. Ogni storiografia deve prendere le mosse da queste basi naturali e dalle modifiche da esse subite nel corso della storia per l'azione degli uomini».

Come si presenta ora, dopo l'eliminazione dei fraintendimenti più grossolani, il rapporto tra psicoanalisi e materialismo storico?

La psicoanalisi può arricchire tutta la concezione del materialismo storico per quel che riguarda un settore di ricerca molto preciso, fornendo una conoscenza più vasta di uno dei fattori operanti nel processo storico, cioè della costituzione dell'uomo stesso, della sua «natura». Essa colloca l'apparato istintuale dell'uomo nella serie delle condizioni naturali, che si modificano esse stesse, ma nella cui natura si trovano anche i limiti della modificabilità. L'apparato istintuale dell'uomo è una delle condizioni «naturali», che appartengono alla infrastruttura del processo sociale. Ma non l'apparato istintuale «in generale», nella sua «forma originaria» biologica. Come tale esso non appare mai in realtà, bensì sempre in una forma determinata, trasformata dal processo sociale. La psiche umana o le sue radici, le forze libidiche, appartengono anch'esse alla infrastruttura, ma non sono la infrastruttura, come un'interpretazione psicologistica ritiene, e la psiche umana è sempre soltanto la psiche modificata dal processo sociale. Il materialismo storico richiede una psicologia, cioè una scienza delle qualità psichiche dell'uomo. Per prima la psicoanalisi ha fornito una psicologia, che è utilizzabile per il materialismo storico.

Tale integrazione è importante specialmente per questa ragione. Marx ed Engels hanno constatato la dipendenza di tutti i fenomeni ideologici dall'infrastruttura economica, hanno visto in ciò che e spirituale «ciò che è materiale trasferito nella stessa testa degli uomini». Certamente in molti casi il materialismo storico poteva dare risposte esatte anche senza alcuna premessa psicologica. Ma solo là dove l'ideologia riveste un carattere più o meno razionale in riferimento a certi obiettivi di classe, oppure là dove si tratta di porre corrette coordinazioni tra l'infrastruttura economica e la sovrastruttura ideologica, senza chiarire tuttavia quale sia il percorso dall'economia alla testa o al cuore degli uomini. (Sul problema dell'essenza della sovrastruttura ideologica, cfr. anche la lettera di Engels a Mehring - 14 luglio 1893, citata da Duncker, Über historischen Materialismus, Berlino 1930): «Vale a dire, tutti noi abbiamo dato, e dovevamo dare la massima importanza in primo luogo alla derivazione delle rappresentazioni politiche, giuridiche e ideologiche in genere, e dei comportamenti mediati da queste rappresentazioni, dalla realtà economica di base. Con ciò abbiamo trascurato l'aspetto formale per il contenuto: il modo e la maniera in cui queste rappresentazioni vengono alla luce».). Ma sulle modalità di trasferimento di ciò che è materiale nella testa degli uomini — in mancanza di una psicologia utilizzabile — Marx ed Engels non potettero e non vollero dare alcuna risposta.

La psicoanalisi può mostrare che le ideologie sono i prodotti di determinati desideri, di pulsioni istintuali, interessi, bisogni che, in gran parte inconsci essi stessi, si presentano come un «razionalizzazione» sotto forma di ideologia; e che queste stesse pulsioni istintuali sorgono, sì, sulla base di istinti biologicamente determinati, ma, per quel che concerne la loro quantità e il loro contenuto, sono plasmate in ampia misura dalla situazione socioeconomica dell'individuo o della sua classe. Se, come dice Marx, gli uomini sono i produttori della loro ideologia, la psicologia sociale analitica può descrivere e spiegare la natura di questo processo di produzione delle ideologie, e il modo della cooperazione in esso di fattori «naturali» e sociali. La psicoanalisi quindi può indicare come, attraverso la vita degli istinti, la situazione economica si trasforma in ideologia.

In particolare, è da sottolineare che tale «ricambio» tra mondo degli istinti e mondo circostante conduce a questo: che l'uomo come tale si trasforma allo stesso modo in cui il «lavoro» trasforma la natura esterna all'uomo. In che senso avvenga questa trasformazione dell'uomo si può qui soltanto brevemente accennare. Si tratta soprattutto dello sviluppo dell'organizzazione dell'io, diverse volte descritto da Freud, e dello sviluppo a ciò connesso, della capacità di sublimazione. (Che con ciò debba essere congiunta anche una crescita del super-io e delle repressioni, ci sembra una profonda contraddizione. La crescita dell'io e delle possibilità di sublimazione significa proprio il dominio sugli istinti in una maniera diversa da quella della repressione.) La psicoanalisi ci permette di considerare la formazione dell'ideologia come una forma del «processo del lavoro», come una delle situazioni del ricambio tra uomo e natura, la cui caratteristica si trova nel fatto che la «natura», in questo caso, è dentro e non fuori dell'uomo.

Nello stesso tempo, la psicoanalisi può fornire delucidazioni sul modo di operare delle ideologie o delle idee sulla società. E può mostrare che l'azione di una «idea» dipende essenzialmente dal suo contenuto inconscio (e che si richiama a determinate tendenze istintuali), vale a dire che sono la natura e la potenza della «cassa armonica» libidica della società o di una classe, che determinano l'efficacia sociale delle ideologie.

Se è evidente che la psicologia sociale psicoanalitica ha il suo posto all'interno del materialismo storico in un punto ben determinato, vengono anche ad essere precisati alcuni settori in cui essa è in grado di eliminare direttamente certe difficoltà.

In primo luogo, il materialismo storico può replicare con maggiore chiarezza a talune obiezioni. Se veniva indicato quale ruolo svolgono nella storia momenti ideali, come la volontà di libertà, l'amore al gruppo a cui si appartiene, ecc., dal punto di vista del materialismo storico si poteva rifiutare questo modo di impostare il problema in quanto psicologico e ci si poteva limitare a far vedere il condizionamento economico obiettivo degli avvenimenti storici. Ma non si era in grado di dare una chiara risposta a questa domanda: di quale natura e provenienza siano queste forze umane — come impulsi psichici, tuttavia, palesemente assai operanti — e come siano da sistemare nel processo sociale. La psicoanalisi può mostrare che questi motivi, apparentemente ideali, in realtà non sono altro che l'espressione razionalizzata di bisogni istintivi, libidici, e che il contenuto e l'estensione dei bisogni di volta in volta dominanti, vanno intesi secondo quello che è l'influsso della situazione socioeconomica sulla struttura istintuale data del gruppo, che produce l'ideologia (o il bisogno che è dietro di essa). Quindi è possibile alla psicoanalisi ridurre anche i più sublimi moventi ideali al loro nocciolo terreno e libidico, senza essere costretti a considerare i bisogni economici come gli unici rilevanti.

La mancanza di una psicologia adeguata al materialismo storico, ha fatto si che certi rappresentanti del materialismo storico abbiano creato a tale riguardo una psicologia privata, meramente idealistica. Un esempio tipico — più tipico di autori apertamente idealistici come Bernstein — è Kautsky. Egli postula che vi sia un «istinto sociale» innato nell'uomo. Il rapporto tra questo istinto sociale e le relazioni sociali, egli lo descrive nel modo seguente: «A seconda della forza e della debolezza dei suoi istinti sociali, l'uomo inclinerà più al male o al be;ie. Tuttavia ciò dipende non di meno dalle sue condizioni di vita nella società». E' chiaro che questo istinto sociale innato non è niente altro che il principio morale innato nell'uomo, e che il punto di vista di Kautsky si differenzia solo superficialmente da un'etica idealistica (La stessa posizione rappresenta Kautsky, quando risponde, alla supposizione che il materialismo storico sia una psicologia economi- cistica, nel modo seguente: «Se la concezione materialistica della storia effettivamente asserisse che gli uomini sono mossi soltanto da motivi economici o da interessi materiali, allora non varrebbe la pena che noi ce ne occupassimo estesamente. Sarebbe soltanto una ripetizione grossolana di quell'altra antica concezione, che vede l'unico motivo del comportamento umano nell'egoismo o nel desiderio del piacere. Marx ed Engels inoltre avrebbero confutato, una volta per tutte le loro teorie con la propria vita, poiché non ci sono mai stati due uomini più disinteressati, e meno sollecitati da motivi materiali, dei due miei maestri». Qui si scopre chiaramente la posizione idealistica di Kautsky. Egli non si accorge che il motivo economico e il desiderio del piacere sono due cose completamente diverse, e che anche le più pregevoli qualità personali non si trovano al di là dell'apparato psichico, dotato di bisogni delle più disparate specie, e che tende alla loro soddisfazione.).

Quegli autori marxisti però, che non si sono rivolti a una psicologia e a un'etica idealistica, in genere prestano poca attenzione alla psicologia. (Bucharin ha dedicato un capitolo speciale al problema della psicologia nella sua Theorie des historischen Materialismus. Egli chiarisce, del tutto correttamente, che la psicologia di una classe non è identica con quello che è il suo «interesse», con il quale termine egli intende i suoi interessi reali, economici; ma che sempre la psicologia della classe deve essere compresa in base al ruolo socioeconomico di questa. Egli ricorda, come esempi, situazioni in cui uno stato d'animo di disperazione prende le masse, o singoli gruppi, dopo una grossa scon fitta nella lotta di classe. «E' documentabile una connessione con l'interessa di classe, ma questa connessione è di natura assolutamente particolare; la lotta è stata guidata dalla molla segreta degli interessi (siamo noi a sottolineare), ma ora l'esercito dei combattenti è sconfitto; su questa base vien fuori la disgregazione, la disperazione, comincia la speranza in un miracolo, la predicazione della umana labilità, gli sguardi si dirigono verso il cielo». Bucharin soggiunge: «Vediamo, dunque, che nello studio della psicologia delle classi abbiamo da fare con un fenomeno assai complicato, che non si lascia ricondurre assolutamente al puro e semplice interesse, e che è sempre da chiarire mediante quell'ambiente concreto, in cui la classe in questione si e sviluppata». Egli parla inoltre dei processi ideologici come di una forma speciale del lavoro sociale. Ma poiché non ha a disposizione una psicologia adeguata, non arriva più in là di questa constatazione, non è in grado di comprendere i modi di questo processo di lavoro.).

E' certamente esatto, e su questo è stata già in precedenza richiamata l'attenzione, che il processo sociale può essere compreso anche senza psicologia, mediante la conoscenza delle forze economiche e di quelle sociali che ne dipendono. Poiché, tuttavia, non sono le leggi sociali che agiscono, ma uomini viventi, poiché le necessità economiche e sociali si realizzano attraverso il mezzo non soltanto del pensiero umano razionale, ma soprattutto dell'apparato istintuale umano, delle sue forze libidiche, ne risulta in primo luogo che il mondo degli istinti umani è una forza di natura, che al pari di altre (per esempio la fertilità del suolo, la disponibilità di acqua ecc.) appartiene direttamente all'infrastruttura del processo sociale e rappresenta un importante fattore naturale, che si trasforma sotto l'influsso di tale processo e la cui conoscenza è necessaria per la completa comprensione di quest'ultimo. Inoltre la produzione e il modo di operare delle ideologie possono essere compresi correttamente solo in base alla conoscenza del funzionamento dell'apparato istintuale; e infine dall'incontro dei fattori di natura economica con questo mezzo, il mondo degli istinti, scaturiscono certe conseguenze: vale a dire che, a causa della peculiarità della struttura istintuale, il processo sociale — soprattutto nel tempo — si verifica diversamente — in modo più rapido o più lento — da quanto è da aspettarsi se ci dimentichiamo del fattore psichico. Si verifica quindi, grazie all'applicazione della psicoanalisi nell'ambito del materialismo storico, un raffinamento del metodo, un allargamento della nostra», conoscenza delle forze operanti nel processo sociale, una sicurezza maggiore tanto nella comprensione di periodi storici quanto nella previsione di eventi sociali futuri, e specialmente una comprensione esauriente della produzione delle ideologie.

La misura della fecondità di una psicologia sociale psicoanalitica dipende naturalmente dall'importanza che le forze libidiche hanno nel processo sociale. Un'indagine, anche soltanto parzialmente esauriente, esulerebbe di gran lunga dai limiti di questo articolo. Ci contentiamo in questa sede di alcune sommarie osservazioni fondamentali.

Se ci domandiamo da quali forze una certa società viene garantita nella sua stabilità e da quali forze questa stabilità viene scossa, ci accorgiamo che sono le condizioni economiche, le contraddizioni sociali, che decidono della stabilità o della disintegrazione di una società; ma ci accorgiamo anche che il fattore che (sulla base di queste condizioni) rappresenta un elemento estremamente importante nella struttura sociale, è costituito dalle tendenze libidiche presenti negli uomini. Prendiamo una costellazione sociale relativamente stabile. Che cosa tiene uniti gli uomini, che cosa rende possibili certi sentimenti di solidarietà, certi atteggiamenti di subordinazione e di superiorità? Certamente è l'apparato di forza esterno (polizia, magistratura, esercito ecc.) che non permette alla società di sfasciarsi. Certamente sono gli interessi razionali, egoistici, che contribuiscono alla formazione e alla stabilità della società. Ma né l'apparato di forza esterno, né gli interessi razionali sarebbero sufficienti a garantire il funzionamento della società, se non sopravvenissero le pulsioni libidiche degli individui. Sono le loro forze libidiche che formano il cemento, senza di cui la società non sarebbe unita, e che contribuiscono alla produzione delle grandi ideologie sociali in tutte le sfere culturali.

Chiariamo questi concetti a proposito di una costellazione sociale particolarmente importante, il rapporto delle classi fra loro. Nella storia a noi nota, una minoranza comanda sulla maggioranza della società. Questo dominio di classe non è stato la conseguenza dell'astuzia e dell'inganno, come riteneva l'illuminismo, è stato necessario e condizionato da tutta la situazione economica della società, dallo stato delle forze produttive. Per esempio, a Necker il popolo appare «condannato dalle leggi della proprietà a ricevere sempre soltanto quello che è assolutamente necessario per il suo lavoro». Le leggi sono considerate come misure protettive dei proprietari contro i non proprietari. Esse sono, scrive Linguet, in un certo qual modo, «una congiura ai danni della parte più numerosa del genere umano, contro la quale quest'ultima non può mai in alcun modo trovare aiuto».

L'illuminismo ha descritto e criticato il rapporto di dipendenza, sebbene non abbia riconosciuto il suo condizionamento economico. Di fatto lo stabilimento del dominio di una minoranza corrisponde alla realtà del processo storico. Quali sono però i fattori che danno consistenza a questo rapporto di dipendenza?

In primo luogo sono i mezzi della coercizione fisica, e vi sono taluni gruppi incaricati della gestione di questi mezzi, ma accanto ad essi c'è anche un altro importante fattore: i legami libidici, l'angoscia, l'amore, la fiducia, che costituiscono i contenuti psichici della maggioranza nei suoi rapporti con la classe dominante. Questo atteggiamento psichico però non è arbitrario, casuale, esso è l'espressione dell'adattamento libidico degli uomini alle condizioni economiche effettive. Dal momento che (e finché) quest'ultime rendono necessario il dominio di una minoranza sulla maggioranza, anche la libido si adatta a questa struttura economica e diviene essa stessa un momento stabilizzatore dei rapporti di classe.

Dopo aver preso atto del condizionamento economico della struttura libidica, però, la psicologia sociale non può trascurare di indagare la base psicologica di questa struttura; cioè non soltanto si deve ricercare perché questa struttura libidica è necessaria, ma anche come essa è psicologicamente possibile, mediante quali meccanismi funziona. Nella ricerca di queste radici del legame libidico della maggioranza alla minoranza dominante, la psicologia sociale accerterà che questo legame è una ripetizione o una prosecuzione dell'atteggiamento psichico, che gli adulti hanno avuto da bambini verso i loro genitori, specialmente verso il padre (nell'ambito della famiglia borghese). (Non si deve dimenticare però che questo determinato rapporto padre-figlio, a sua volta, è esso stesso socialmente condizionato.) Si tratta di una mescolanza di ammirazione, di angoscia, di fede nella forza, nella saggezza e nelle buone intenzioni del padre, cioè di una ipervalutazione affettiva delle sue qualità intellettuali e morali, come noi la ritroviamo presso il bambino nei suoi rapporti col padre e presso l'adulto nell'ambito della società classista patriarcale, nei rapporti con chi appartiene alla classe dominante. A ciò sono strettamente congiunti certi principi morali, che preferiscono far soffrire il povero piuttosto che fare «cosa ingiusta», che gli fanno credere che il senso della sua vita sia l'obbedienza e il compimento del dovere al servizio dei potenti ecc. Anche queste idee etiche, così estremamente importanti per la stabilità sociale, sono il prodotto di determinati rapporti affettivi, emozionali, con coloro che creano e rappresentano queste idee.

Ovviamente non è lasciato al caso che tali idee si formino oppure no. Anzi una parte essenziale dell'apparato culturale serve a creare sistematicamente e organicamente l'atteggiamento socialmente richiesto. La descrizione del ruolo, che svolgono tutta l'istruzione pubblica o anche, per esempio, la giustizia punitiva, è un importante compito della psicologia sociale. (Cfr. Fromm, Zur Psychologie des Verbrechers und der strafenden Gesellschaft, Imago, XVII, 12. L'apparato culturale non serve soltanto a canalizzare le forze libidiche degli uomini (specialmente quelle pregenitali e gli istinti parziali) in determinate direzioni, socialmente desiderate, ma anche a indebolire in ampia misura le forze libidiche, cosicché esse non divengano mai un pericolo per la stabilità sociale. In questo smorzamento delle forze libidiche, cioè nella loro regressione allo stadio pregenitale, è anche da trovare uno dei fondamenti della morale sessuale di certe società.).

Abbiamo scelto i rapporti libidici tra la minoranza dominante e la maggioranza soggetta, poiché questa relazione è il nucleo sociale e psichico di ogni società classista. Ma anche tutti gli altri rapporti nell'ambito della società portano la loro impronta libidica particolare. Per esempio, i rapporti degli appartenenti alla stessa classe presentano una differente colorazione psichica nell'ambito della piccola borghesia e nell'ambito del proletariato; e il rapporto libidico col leader politico è diversamente strutturato dal punto di vista psicologico nel caso del leader proletario che guida la sua classe, ma che si identifica con essa ed è al servizio delle sue aspirazioni, e nel caso del leader che comanda stando di fronte alla massa come un uomo più forte, come un pater familias più potente e di proporzioni ingrandite. (Freud ha accennato nella sua Psicologia collettiva e analisi dell'io agli aspetti libidici del rapporto col capo (Führer). Però egli ha preso «il capo» in maniera astratta, come astrattamente prende «la massa», cioè senza badare alla sua situazione concreta. Per cui la rappresentazione degli eventi psichici riceve anche un carattere universale, che non corrisponde alla realtà, cioè un tipo determinato di rapporto con il capo viene sollevato al rango di ciò che è valido in ogni circostanza. Anche il problema decisivo della psicologia sociale, il rapporto delle classi, viene sostituito da un problema secondario, il rapporto tra le masse e il capo. Rimane, però, degno di nota che Freud in questo lavoro prende atto delle tendenze degli psicologi sociali borghesi a svalutare la massa, e non le condivide.)

Corrispondentemente alla molteplicità dei possibili rapporti libidici, prevalgono le forme più diverse di legami affettivi all'interno della società. La loro descrizione e la loro delucidazione è assolutamente impossibile in questa sede, anche in modo soltanto sommario. E', questo, un compito di primaria importanza di una psicologia sociale analitica. Basti solamente dire che ogni società, come ha una determinata struttura economica e una struttura sociale, politica e spirituale, ha anche una struttura libidica ad essa specifica. La struttura libidica è il prodotto dell'azione delle condizioni socioeconomiche sulle tendenze istintuali, ed è a sua volta un importante momento determinante per la formazione della vita emozionale nei diversi strati della società, nonché per la creazione della «sovrastruttura ideologica». La struttura libidica di una società è il mezzo in cui si verifica l'influsso dell'economia sui fenomeni umani veri e propri, psichico- spirituali.

Ovviamente la struttura libidica di una società rimane così poco costante come la sua struttura economica e sociale. Essa però ha una relativa costanza, finché la struttura sociale si trova in un certo equilibrio, cioè nelle fasi relativamente consolidate dello sviluppo sociale. Con la crescita delle contraddizioni obiettive all'interno della società, con il sempre più intenso processo di dissoluzione di una determinata forma sociale, si presentano anche certe trasformazioni nella struttura libidica della società; i legami tradizionali che mantengono la stabilità sociale scompaiono, i tradizionali atteggiamenti affettivi si trasformano. Le forze libidiche diventano disponibili per nuove utilizzazioni e mutano la loro funzione sociale. Esse non contribuiscono più a conservare la società, ma conducono alla costruzione di nuove formazioni sociali, cessano di essere il cemento e diventano dinamite.

Ritorniamo al problema formulato e discusso all'inizio, al rapporto degli istinti con le vicende della vita, con le condizioni di esistenza esterne all'uomo. Abbiamo visto che la psicologia individuale analitica considera lo sviluppo degli istinti come un prodotto dell'adattamento attivo e passivo della struttura istintuale alle condizioni di esistenza. Il rapporto tra la struttura libidica della società e le condizioni economiche è in linea di principio esattamente lo stesso. Si tratta di un processo di adattamento attivo e passivo della struttura libidica della società alle condizioni economiche. Gli uomini, spinti dai loro impulsi libidici, trasformano dal canto loro le condizioni economiche, le condizioni economiche così trasformate fanno sì che si producano nuove pulsioni e soddisfazioni libidiche, ecc. E'di importanza decisiva il fatto che tutte queste trasformazioni in ultima istanza risalgono alle condizioni economiche, che le pulsioni istintuali e i bisogni si trasformano e si adattano nel senso delle condizioni economiche, vale a dire di ciò che è di volta in volta possibile o necessario.

Nell'ambito della concezione del materialismo storico la psicologia analitica trova in modo univoco il suo posto. Essa indaga uno dei fattori naturali operanti nel rapporto natura-società, il mondo istintuale umano, il ruolo attivo e passivo che questo svolge nel processo sociale. Essa indaga un fattore decisivo che media tra la base economica e la formazione delle ideologie. La psicologia sociale analitica consente la piena comprensione della sovrastruttura ideologica in base al processo che ha luogo tra natura e società.

Compendiato in poche parole, il risultato di questa ricerca sul metodo e sui compiti di una sociopsicologia psicoanalitica è il seguente.

Il metodo è quello della psicoanalisi freudiana classica trasferito ai fenomeni sociali: la comprensione degli atteggiamenti psichici comuni, socialmente rilevanti, in base al processo dell'adattamento attivo e passivo dell'apparato istintuale alle condizioni socioeconomiche della società.

Il compito di una psicologia sociale psicoanalitica si trova in primo luogo nella delucidazione delle pulsioni libidiche socialmente rilevanti, in altre parole nella descrizione della struttura libidica della società. Inoltre la psicologia sociale deve chiarire la nascita di questa struttura libidica e la sua funzione nel processo sociale. La teoria relativa al modo in cui nascono le ideologie, mediante la cooperazione dell'apparato psichico istintuale e delle condizioni socioeconomiche, sarà un altro compito particolarmente importante.

La caratterologia psicoanalitica ed il suo significato per la psicologia sociale (1932)
di E. Fromm

Il punto di partenza della psicoanalisi è stato di carattere terapeutico: i disturbi psichici sono stati spiegati in base al blocco dell'energia sessuale e alla sua conseguente trasformazione patologica nel sintomo, oppure in base alla rimozione di rappresentazioni non ammesse nella coscienza e collegate con impulsi libidici. La serie: libido-rimozione mediante l'istanza reprimente-sintomo è stata il filo rosso delle prime indagini analitiche. A ciò si aggiunga il fatto che oggetto della ricerca analitica furono quasi esclusivamente malati (e per lo più con sintomi organici). Nel corso dello sviluppo della psicoanalisi, accanto a questa problematica, si è andata delineando l'altra concernente la genesi e il significato di determinate qualità psichiche che si trovano presso i malati così come presso i sani. Anche qui si tratta, proprio come nella problematica delle origini, della scoperta delle radici istintuali, libidiche del comportamento psichico, mala serie non procede nel senso: repressione-sintomo, ma in quello: sublimazione oppure formazione reattiva-tratto di carattere. Questa maniera di porre il problema si doveva dimostrare fruttuosa sia per la comprensione del carattere malato sia di quello sano e doveva perciò diventare di particolare importanza per le questioni della psicologia sociale.

Il principio basilare della caratterologia psicoanalitica consiste nell'interpretare determinati tratti di carattere come una sublimazione o una formazione reattiva di determinate pulsioni istintuali sessuali (nel senso estensivo usato da Freud), oppure come la prosecuzione di determinati rapporti oggettuali che sono stati connessi con queste pulsioni durante l'infanzia. Questa derivazione genetica dei fenomeni psichici da fonti libidiche e da esperienze della prima infanzia è un principio essenziale che la caratterologia analitica ha in comune con la dottrina della nevrosi; mentre però il sintomo nevrotico (come anche il carattere nevrotico) rappresenta il risultato di un adattamento non riuscito degli istinti alla realtà sociale, nel caso del tratto di carattere non nevrotico si tratta di una trasformazione di pulsioni libidiche — in vista della formazione reattiva o della sublimazione — in un modo relativamente stabile e socialmente adattato. La differenza tra il carattere normale e quello nevrotico, a dire il vero, è del tutto incerta e deve essere determinata, in primo luogo, secondo la misura del mancato adattamento sociale.

In questa sede si può solo accennare al complicato problema della formazione reattiva e della sublimazione. Per formazione reattiva si deve intendere la messa in atto di un comportamento contrario all'obiettivo istintuale originario che si difende da esso e lo tiene a freno, e che, più o meno, può avere il carattere della sublimazione. Riguardo alla sublimazione diciamo soltanto che Freud intende con essa la deviazione di impulsi sessuali dai loro obiettivi originari e il loro rivolgersi ad altri obiettivi non sessuali culturali, ovvero la loro compensazione con essi. Ciò non si deve intendere nel senso che dalla sessualità nasca il carattere, o l'intelletto, in modo misterioso, «alchimistico», ma nel senso che le energie sessuali, attirate in altri punti dello apparato psichico — in quanto forza istintuale e in una connessione particolare, ancora poco chiarita, con la capacità dell'io — contribuiscono a creare qualità psichiche e spirituali. Particolarmente importante, e da non dimenticare, è che Freud collega meno che mai il problema della sublimazione con la sessualità secondo l'uso linguistico corrente, cioè con la sessualità genitale, ma soprattutto con le pulsioni sessuali «pregenitali», cioè con la sessualità orale e anale e il sadismo. (Perciò rappresenta una radicale incomprensione del punto di vista di Freud di far coincidere, in sostanza, il problema della sublimazione con quello dell'astinenza sessuo-genitale, come ha fatto, per esempio, Scheler). La differenza tra formazione reattiva e sublimazione si trova essenzialmente nel fatto che la formazione reattiva ha sempre la funzione di rimuovere e di raffrenare un impulso istintuale represso, da cui essa trae anche la sua energia, mentre la sublimazione rappresenta una trasformazione diretta, «una canalizzazione» dell'impulso istintuale.

La teoria della sessualità pregenitale, esposta esaurientemente da Freud per la prima volta nei Tre saggi sulla teoria della sessualità, prende le mosse dall'osservazione che, ancor prima che i genitali svolgano un ruolo decisivo nel fanciullo, la zona della bocca e la zona dell'ano — in quanto «zone erogene» — sono portatrici di sensazioni di piacere analoghe alle sensazioni genitali; esse inoltre, nel corso dello sviluppo cedono parzialmente la loro energia sessuale ai genitali, conservandone una parte minore, sia nella sua forma originaria, sia sotto forma di sublimazioni e formazioni reattive dell'io. Fondandosi su queste osservazioni della sessualità pregenitale Freud pubblicò nel 1908 un breve articolo su Carattere ed erotismo anale (G.S., Vol. V, p. 260 segg.) che costituisce la base della ricerca analitica sul carattere. Freud è partito dalla constatazione che spesso si incontra nell'analisi un tipo «contrassegnato dal concorso di determinate qualità di carattere, mentre il comportamento di una certa funzione corporea e dell'organo ad essa interessato durante l'infanzia di questa persona è tale da richiamare su di sé l'attenzione» (p. 261). Egli trova tre tratti di carattere — amore dell'ordine, parsimonia e caparbietà — in tali individui, nella cui infanzia il piacere relativo all'evacuazione dell'intestino e ai suoi prodotti svolge un ruolo particolarmente grande. In special modo egli ha sottolineato l'equiparazione degli escrementi col denaro (il regalo) che si riscontra nella nevrosi così come nel mito, nelle superstizioni, nel sogno, nelle fiabe. Su questo lavoro fondamentale di Freud si è basata tutta una serie di contributi di altri autori psicoanalitici che hanno fornito i tratti essenziali di una caratterologia psicoanalitica, pur se ancora in molti punti incompleta e ipotetica.

Prima di esporre i risultati di questi lavori che presentano maggiore rilevanza per i sociologi, si deve accennare a un concetto che in taluni di questi lavori non viene delucidato affatto o in maniera insufficiente, e che va sottolineato al fine di consentire una migliore comprensione di queste indagini: la differenza tra fine sessuale e oggetto sessuale, ovvero la differenza tra il piacere dell'organo e i rapporti oggettuali. Freud collega strettamente le pulsioni sessuali con le «zone erogene» e ritiene che quelle siano attivate dalla eccitazione di queste zone erogene.

Nel primo periodo di vita è al centro dell'attività sessuale la zona della bocca e le funzioni ad essa inerenti (succhiare e mordere); poi, dopo il periodo di allattamento, la zona dell'ano con le sue funzioni (evacuare le feci e trattenerle); e, dai tre ai cinque anni, la zona genitale (questa prima stagione della sessualità genitale è stata designata da Freud come «fase fallica», perché ritiene che in questa età svolge un ruolo, per entrambi i sessi, solo il fallo, oppure la clitoride avvertita in senso fallico, con la tendenza a penetrare e a distruggere. Dopo un periodo «di latenza» che dura fino alla pubertà, insieme con la maturazione organica si arriva allo sviluppo della sessualità genitale vera e propria, cui le pulsioni sessuali pregenitali vengono subordinate o coordinate, si arriva cioè alla definitiva instaurazione del «primato della genitalità». Da questo erotismo degli organi, cioè dal piacere organico inerente a una determinata zona corporea (oppure a una determinata funzione collegata con questa zona) sono da distinguere le relazioni oggettuali, cioè gli atteggiamenti (di amore o di odio) verso gli altri oppure verso la propria persona, in altre parole l'atteggiamento e il comportamento emozionale verso il mondo circostante. Anche le relazioni oggettuali hanno un loro decorso tipico: secondo Freud il lattante è orientato soprattutto in senso narcisistico, mira soltanto a se stesso e alla soddisfazione dei suoi bisogni; in una seconda fase, dopo la fine del periodo di allattamento, si moltiplicano tratti sadici e di ostilità nei confronti degli oggetti, che ancora svolgeranno un ruolo importante nella fase fallica. Solo col primato dei genitali, nella pubertà, vengono chiaramente in primo piano tratti di amicizia e di amore verso gli oggetti. I rapporti oggettuali si trovano in una stretta connessione con le zone erogene. Connessione che è comprensibile se si pensa che si sviluppano specifiche relazioni oggettuali in corrispondenza con determinate zone erogene e che questa corrispondenza non è affatto casuale. Senza voler discutere, tuttavia, in questa sede il problema se tale nesso sia così stretto come molte volte si sostiene nella letteratura psicoanalitica — oppure se in qualche misura il .rapporto oggettuale che è tipico per una zona erogena non possa svilupparsi anche indipendentemente dalle particolari vicissitudini di questa zona erogena — si deve ritenere importante la distinzione di fondo tra il piacere organico e le relazioni oggettuali. Nell'esposizione seguente, prima di presentare le scoperte analitiche sui tratti di carattere orali, anali e genitali, si tratteranno separatamente gli elementi componenti cioè le sublimazioni e le formazioni reattive del piacere organico e le tipiche relazioni oggettuali corrispondenti.

L'istinto sessuale determinante nel primo periodo di vita è quello erotico orale. Nel fanciullo vi sono forti sensazioni di piacere e di soddisfazione che in un primo tempo sono connesse con il succhiare («succhiare piacevole»), poi col mordere e masticare, col mettere in bocca e col voler inghiottire gli oggetti. L'osservazione attenta mostra che non si tratta di una manifestazione della fame, mache succhiare, mordere e voler inghiottire rappresentano un atto piacevole in se stesso. Freud ha scritto nei suoi «Tre saggi» che la zona della bocca è una delle cosiddette «zone erogene», la quale — in rapporto con l'alimentazione — rappresenta nel periodo più precoce la base di intense tensioni e soddisfazioni di bisogni libidici. Se anche diminuiscono dopo il periodo di allattamento le soddisfazioni e i bisogni erotico-orali diretti, rimangono tuttavia residui più o meno cospicui anche nella tarda fanciullezza e nell'età adulta. Si ricordino solo l'abitudine di succhiare il pollice, che si presenta spesso molto più in là del periodo dell'allattamento, o quella di rodersi le unghie e inoltre, per parlare di qualcosa assolutamente «normale», il bacio o le forti radici libidiche, erotico-orali, del fumare.

Nella misura in cui l'erotismo orale non rimane nella sua forma originaria e, d'altro canto, non viene inglobato da altri impulsi sessuali, si presenta a noi in formazioni reattivé o sublimazioni. Quanto alle sublimazioni citiamo qui solo uno degli esempi più significativi: il trasferimento del piacere infantile di succhiare sul piano spirituale. Al posto del latte subentra la scienza. Il linguaggio esprime questi rapporti quando si dice che «ci si nutre di sapienza» o si beve «il latte della pietà religiosa». Queste equiparazioni simboliche del bere e dell'acquisire in senso spirituale le troviamo nel linguaggio e nelle fiabe di diverse culture, come nei sogni e nelle associazioni dei pazienti durante l'analisi. Le formazioni reattive possono rimanere nell'ambito originario, ad esempio prendendo la forma di una inibizione del mangiare, come anche possono estendersi fino alle sublimazioni e presentarsi come un'inibizione dell'imparare, del lavorare o del conoscere.

Le relazioni oggettuali che compaiono nel primo periodo di vita del bambino hanno un carattere molto complesso.

Il lattante — e in modo estremamente pronunciato durante i primi tre mesi di vita — è orientato in senso narcisistico; una differenza tra io e mondo esterno non sussiste ancora. Gradualmente, accanto all'atteggiamento narcisistico, si sviluppano tratti di amore e di amicizia verso gli oggetti. L'atteggiamento del lattante verso la madre (olapersona che lo ha in cura) diventa amichevole, affettuoso, in quanto è certo di ricevere protezione e amore. La madre è la garante della sua vita, il suo amore gli dà un senso di sicurezza della vita e di tranquillità. Certo, essa è in larga misura un mezzo per il fine della soddisfazione dei bisogni del fanciullo, e certo l'amore del fanciullo ha un carattere non trascurabile di richiesta, di acquisizione e non di offerta, di dedizione, ma sono tuttavia importanti in questa prima fase tratti amichevoli, di apertura verso gli oggetti.

I rapporti oggettuali del fanciullo si trasformano gradualmente. Con la crescita fisiça del fanciullo crescono le sue esigenze, per cui — anche a causa di altri fattori che si trovano nel mondo circostante — nascono e si sviluppano frustrazioni da parte dell'ambiente alle quali il fanciullo reagisce con ira e furia: e sotto questo riguardo anche lo sviluppo organico ha creato condizioni più propizie. Accanto alle tendenze amichevoli verso gli oggetti, e al loro posto, si presentano in misura crescente quelle ostili. Il fanciullo, irato per alcuni disinganni e anche sentendosi più forte, non aspetta più fiduciosamente la soddisfazione dei suoi desideri, ancora soprattutto orali, da parte di chi lo ama, ma comincia a volersi prendere con la forza ciò che gli viene rifiutato. La bocca insieme con i denti diventa la sua arma; egli acquisisce un atteggiamento aggressivo, ostile verso gli oggetti e vuole afferrarli, succhiarli e inghiottirli. Al posto di una relativa armonia originaria con il mondo circostante compaiono conflitti e impulsi sadico-aggressivi.

II succhiare, il mordere, il voler inghiottire oppure le loro formazioni reattive e sublimazioni, da un lato, e l'atteggiamento fiducioso, positivo verso gli oggetti, consistente nel voler essere beneficato e amato, nonché la sua prosecuzione in tendenze aggressive, rapaci e ostili verso gli oggetti, d'altro lato, sono gli elementi che compongono i tratti del carattere «orale» degli adulti.

Abraham fa una distinzione tra le conseguenze caratterologiche di una soddisfazione orale particolarmente indisturbata e felice nel corso dell'infanzia e una soddisfazione che ha subito dei disturbi, una soddisfazione frammista con molte sofferenze (come, per esempio, un improvviso allontanamento dal seno, un'insufficiente quantità di latte o, per quel che concerne i rapporti oggettuali relativi, una carenza di amore da parte delle persone che hanno cura del bambino). Nel primo caso gli individui hanno acquisito spesso, «grazie a questo periodo felice di vita, una convinzione profondamente radicata che tutto deve sempre andar bene per loro. Affrontano la vita con un ottimismo imperturbabile, che spesso è di ausilio ad essi per raggiungere effettivamente scopi pratici. Anche qui vi sono modalità meno vantaggiose di sviluppo. Taluni appaiono dominati dall'aspettativa che debba esserci sempre una persona buona che si prenda cura di loro, una figura sostitutiva della madre, da cui dovrebbero ricevere tutto quello che è necessario nella vita. Questa credenza ottimistica nel destino li condanna a non far nulla. Riconosciamo in essi coloro che sono stati viziati nel periodo dell'allattamento. Tutto il loro comportamento nella vita rivela l'aspettativa che il petto materno, per dir così, sia sempre a loro disposizione. Tali persone non si credono capaci di nessuno sforzo; in certi casi disdegnano ogni acquisizione propria» (Studi psicoanalitici sulla formazione del carattere, Vienna 1925, p. 42). In questi individui è frequente constatare una generosità particolarmente spiccata, un certo comportamento «signorile». Essi hanno come ideale la madre che dona senza limiti e cercano di comportarsi in conformità a questo ideale.

Il secondo tipo, quello con forti frustrazioni orali nella prima infanzia, spesso sviluppa — più tardi — tratti che si trovano nella direzione del succhiare o del togliere ad altre persone. Questi uomini hanno, per dir così, una proboscide con cui dovunque vogliono «aspirare», e se vi sono altresì forti impasti sadici, sono come animali rapaci che vivono per cercare vittime da sventrare.

«Nel comportamento sociale di questi uomini balza agli occhi qualcosa che è come una richiesta permanente e che si manifesta ora nelle forme della preghiera, ora in quelle della pretesa. Il modo in cui presentano i loro desideri ha in sé qualcosa di chi succhia in continuazione; essi non si lasciano respingere dal linguaggio dei fatti né da effettive obiezioni, ma continuano a premere e a insistere. Sono inclini ad attaccarsi letteralmente ad altre persone e sono particolarmente sensibili verso ogni forma di solitudine, anche se dura poco. Un tratto assai pronunciato in loro è l'impazienza. In certe persone (...) si trova, insieme col comportamento descritto, una componente di crudeltà che dà al loro modo di agire verso gli altri qualcosa di vampiresco» (Abraham, p. 44).

Se le persone del primo tipo presentano una certa nobiltà e generosità e si mostrano sempre contente e socievoli, quelle del secondo tipo sono ostili e mordaci, reagiscono con ira a un rifiuto e sono piene di invidia per tutti quelli che stanno meglio di loro. Per i sociologi è importante inoltre il fatto, notato da Abraham, che persone con una struttura caratteriale orale sono facilmente accessibili alle novità «mentre è proprio del carattere anale un comportamento conservatore, avverso a tutte le innovazioni».

L'erotismo anale non comincia affatto a svolgere un ruolo importante solo dopo l'erotismo orale. Già fin dai primi tempi l'emissione libera dei prodotti corporei è connessa per il bambino con un'eccitazione piacevole della mucosa anale. Del pari i prodotti stessi dell'evacuazione, la loro vista, il loro odore, il contatto con la superficie del corpo e, infine, il fatto di toccarli con le mani sono una fonte di sensazioni piacevoli intense. Il bambino è orgoglioso delle feci, che sono il suo primo «possesso», la manifestazione della sua prima produttività. Una trasformazione sostanziale apporta l'educazione alla pulizia corporea, che avviene autonomamente ma più o meno contemporaneamente allo svezzamento del bambino e la cui riuscita dipende dallo sviluppo graduale di quella che è la funzione degli sfinteri della vescica e dell'intestino. In quanto il bambino si adatta alle esigenze dell'educazione e impara a trattenere le feci, oppure a emetterle a tempo debito, la ritensione delle feci e i fenomeni ad essa collegati divengono una nuova fonte di piacere. Contemporaneamente l'originaria predilezione per gli escrementi viene in parte rimossa o sostituita da un senso di disgusto, in parte viene accresciuto, a causa dell'atteggiamento dell'ambiente, l'orgoglio primitivo per le feci e per la loro puntuale evacuazione.

Proprio come una parte degli impulsi orali originari, anche gli impulsi anali permangono in una certa quantità fin nella vita dell'adulto. Il che si riconosce facilmente nella reazione emotiva relativamente forte di molti individui di fronte all'oltraggio anale o all'oscenità anale. Anche l'interesse affettivo per i propri escrementi, che si presenta sotto molte razionalizzazioni, permette di riconoscere chiaramente le tracce dell'erotismo anale originario. Normalmente, però, una parte sostanziale delle pulsioni erotico-anali si risolve in sublimazioni o formazioni reattive. Questi sviluppi dell'erotismo anale originario si svolgono in una duplice direzione: da un lato, nella prosecuzione caratterologica della funzione originaria (il cui risultato sono il piacere o l'incapacità di conservare, accumulare e produrre e inoltre l'amore per l'ordine, la puntualità, la pulizia, l'avarizia) e dall'altro nella prosecuzione dell'amore originario per le feci, che si manifesta soprattutto nel desiderio del «possesso». Una importanza assolutamente speciale spetta al senso del dovere che si forma in questo periodo. La disciplina anale è intimamente congiunta al problema del müssen e del sollen, oppure del non ricevere un permesso, e l'esperienza clinica mostra che spesso l'espressione particolarmente intensa del senso del dovere risale a questo primo periodo.

Le relazioni oggettuali associate col periodo anale stanno sotto il segno di un conflitto crescente con il mondo circostante. Questo si rivolge per la prima volta al fanciullo con richieste il cui adempimento è ottenuto tramite compensi affettivi o punizioni. Non è più la madre buona, prodiga, la dispensatrice del piacere che il fanciullo si trova davanti, ma colei che esige la rinunzia, che punisce. Il fanciullo reagisce conseguentemente. Da un lato si irrigidisce nel suo atteggiamento narcisistico, di indifferenza verso gli oggetti, atteggiamento che in una certa maniera è ancora aumentato dalla sua sempre minore impotenza fisica, nonché dall'orgoglio crescente riguardo a ciò che riesce a fare; dall'altro viene notevolmente rafforzato il suo atteggiamento ostile verso gli oggetti, caparbio, sadico, teso a rimuovere con ira le intromissioni nella sua sfera privata.

Le sublimazioni e le formazioni reattive dell'erotismo anale e la continuazione delle relazioni oggettuali tipiche di questo stadio compongono i tratti del carattere anale, come sono descritti nella loro presenza normale o patologica nella letteratura psicoanalitica. Menzioniamone solo alcuni particolarmente importanti per la psicologia sociale.

Abbiamo già riferito sulle prime scoperte caratterologiche di Freud: un amore dell'ordine che spesso finisce nella pedanteria, un senso del risparmio che confina con l'avarizia e una caparbietà che diventa ostinazione. A questi tratti generali molti altri più specifici sono stati aggiunti da una serie di autori psicoanalitici, in primo luogo da Jones e da Abraham. Abraham fa notare che vi sono ipercompensazioni dell'ostinazione originaria «sotto cui si trova celato l'attaccamento ostinato al primitivo diritto di autodeterminazione, finché esso non erompe con violenza al momento adatto. Io ho davanti agli occhi bambini (e naturalmente anche adulti) che si distinguono per una particolare bontà, correttezza e docilità, ma che giustificano i loro impulsi ribelli radicati nel profondo per il fatto di essere stati sempre oppressi» (p. 9).

Con questo atteggiamento orgoglioso è strettamente congiunta la rappresentazione della propria individualità, rilevata per la prima volta da Sadger («Tutto quello che io non sono, è fango»). Tali uomini provano gioia nel possedere qualcosa, solo se nessuno ha qualcos'altro di simile. Hanno un'inclinazione a considerare tutto nella vita come oggetto di proprietà e a difendere tutto ciò che è «privato» da intromissioni estranee. Non è un problema soltanto di denaro o di possesso, ma di uomini (nonché di sentimenti, di ricordi, di esperienze vissute). Quanto siano forti le pulsioni libidiche che stanno alla base di tale possessività nei riguardi della sfera privata, si comprende facilmente dall'ira con cui questi uomini reagiscono ad ogni intrusione nella loro sfera privata, nella loro «libertà». A questa importanza della sfera privata si ricollega la sensibilità, menzionata da Abraham, del carattere anale verso ogni intromissione esterna. Nessuno si deve immischiare nei «suoi affari». Affine a ciò è un altro tratto su cui Jones ha attirato l'attenzione: l'attaccamento caparbio ad una norma personale di vita oppure l'inclinazione a imporre agli altri tale norma. Questi uomini mostrano poi anche spesso un piacere fortissimo nel classificare, nel redigere tabelle e piani.

Di particolare importanza è anche il fatto, sottolineato da Abraham, che nel carattere anale è presente la tendenza inconscia a ritenere la funzione anale come la più importante attività produttiva e superiore a quella genitale. Guadagnare, accumulare denaro, raccogliere conoscenze (senza la loro elaborazione produttiva) sono manife-stazioni di questo atteggiamento. A una tale ipervalutazione della produttività anale di raccolta è congiunta in modo caratteristico l'ipervalutazione di ciò che è raccolto, del possesso. Abraham afferma: «Nei casi più palesi di struttura caratteriale anale quasi tutte le relazioni dell'esistenza sono poste sotto il punto di vista del dare e dell'avere, del possesso. E' come se il motto di non pochi di tali uomini fosse: chi mi dà è mio amico; chi mi chiede qualcosa è mio nemico» (p. 20). Non diversamente stanno le cose quanto alle relazioni amorose. Di solito nel carattere anale il bisogno e la soddisfazione genitali sono più o meno limitati e spesso questa limitazione è connessa con razionalizzazioni o anche angosce. Nella misura in cui l'amore è presente, esso assume tratti tipici. Una donna non è amata, ma «posseduta» e di fronte all'oggetto di «amore» domina lo stesso atteggiamento affettivo come di fronte ad altri oggetti del possesso; quindi la tendenza a possedere quanto più o quanto più esclusivamente possibile. Il primo atteggiamento è quello di un certo tipo di uomini apparentemente molto capaci di amare, ma il cui amore in fondo è solo una forma della loro propensione a fare incetta; e il secondo è caratteristico del tipo estremamente geloso che esige la «fedeltà».

Un esempio assai eloquente del primo tipo mi è stato offerto da un paziente che aveva un libro in cui raccoglieva i ricordi di ogni incontro con una donna e così incollava vecchi biglietti di teatro, programmi e anche lettere. Strettamente congiunta con questo atteggiamento è l'invidia intensa che si trova in molti individui con un carattere anale. Essi consumano spesso le loro forze non in attività produttive adeguate, ma nell'in- vidiare l'attività, e soprattutto il possesso degli altri. Il che porta a menzionare uno dei tratti del carattere anale che sono più importanti clinicamente e sociologicamente: lo specifico comportamento nei riguardi del denaro, cioè soprattutto il senso del risparmio e l'avarizia. Ciò ha ricevuto una conferma assai probante dalle esperienze analitiche ed è trattato ampiamente nella letteratura psicoanalitica. Il senso del risparmio e l'avarizia non si ricollegano solo al denaro o al valore del denaro. Anche il tempo e le energie sono trattati in maniera analoga e ogni spreco di tempo e di energie è aborrito. Degno di nota è che queste tendenze anali sogliono essere largamente razionalizzate, soprattutto naturalmente con considerazioni economiche; inoltre spesso, accanto a una grande pulizia, al senso del risparmio, dell'ordine e della.puntualità, fanno irruzione i tratti antitetici, rimossi da queste formazioni reattive. A causa della sua importanza in sede di psicologia sociale, infine, menzioniamo il bisogno che è stato rilevato da Abraham come tipico per il carattere anale, di simmetria e di un «giusto eguagliamento».

La sessualità genitale, in linea di principio, ha un'importanza per la formazione del carattere assai diversa dalla sessualità orale e da quella anale. Mentre queste ultime possono continuare a sussistere in forma diretta solo in misura relativamente modesta dopo il primo periodo della infanzia e trovano la loro massima utilizzazione nella vita ulteriore attraverso sublimazioni e formazioni reattive, la sessualità genitale in un primo tempo è destinata a subire una rimozione fisica diretta. Se è facile descrivere l'obiettivo della sessualità genitale, è difficile affermare qualcosa sugli specifici tratti di carattere genitali. E' esatto che il rapporto oggettuale associato alla sessualità genitale è un rapporto positivo e relativamente privo di ambivalenza, tuttavia non si deve dimenticare,che l'atto sessuale, fisiologicamente normale, non comporta affatto di necessità un atteggiamento psichico corrispondente, cioè di amore. Può esser vissuto, da un punto di vista psicologico, in modo prevalentemente narcisistico o sadico. Se ci si chiede quali formazioni reattive e quali sublimazioni della sessualità genitale abbiano una importanza caratterologica ci appare soprattutto rilevante, come formazione reattiva, l'educazione della volontà. Nelle sublimazioni, riteniamo necessario distinguere tra sessualità maschile e femminile. (Non è da dimenticare che in ogni individuo vi sono pulsioni sessuali maschili e femminili. Cfr. le osservazioni di Freud nei Tre saggi sulla teoria della sessualità). Quanto a queste diverse sublimazioni, si sa ancora molto poco. Forse si deve supporre che la sublimazione della sessualità maschile si trova prevalentemente nel senso della penetrazione, della creazione, dell'organizzazione e la sublimazione della sessualità femminile nel senso del ricevere, del custodire, del generare e nel senso dell'amore materno incondizionato.

La teoria psicoanalitica, qui esposta sommariamente, dell'evoluzione della sessualità e dei rapporti oggettuali è uno schema ancora imperfetto e ipotetico sotto molti aspetti, che l'indagine analitica dovrà modificare in alcuni punti importanti e in cui dovrà introdurre parecchi elementi nuovi. Essa però è un punto di partenza che ci fa capire i presupposti istintuali dei tratti di carattere e apre l'accesso ad una spiegazione dello sviluppo del carattere.

Questo sviluppo è condizionato da due fattori che sono operanti in una diversa direzione. Il primo è la maturazione fisica dell'individuo: vale a dire la crescita della sessualità genitale e il ruolo fisiologico relativamente sempre più decrescente della zona orale e anale, nonché la maturazione di tutta la personalità e la conseguente diminuzione del suo stato di debolezza; tutto ciò rende possibile un comportamento emozionale positivo verso gli oggetti. Il secondo fattore che promuove lo sviluppo agisce dall'esterno sull'individuo; sono le norme sociali trasmesse nel modo più energico attraverso l'educazione, le quali esigono la repressione delle pulsioni sessuali pregenitali fino a un grado elevato e facilitano il progresso della sessualità genitale.

Questo progresso, però, spesso riesce solo parzialmente e gli stadi pregenitali continuano a sussistere con forza in forma diretta o in forma sublimata nella stragrande maggioranza dei casi. Il che si spiega fondamentalmente con due motivi: o una fissazione, cioè mediante esperienze particolarmente forti di soddisfazione o di frustrazione durante l'infanzia i desideri pregenitali non hanno subito uno sviluppo e si sono conservati con una forza particolare; o una regressione, cioè dopo che è terminato lo sviluppo normale una frustrazione interna o esterna — particolarmente forte — porta a un allontanamento dalla vita amorosa, a un ripiega-mento dalla genitalità verso quei vecchi stadi pregenitali di organizzazione della libido. In realtà fissazione e regressione operano di solito insieme, cioè una certa fissazione rappresenta un dato di fatto che, nel caso di una frustrazione, determina con relativa facilità una regressione sullo stadio istintuale «fissato».

La caratterologia psicoanalitica non può far comprendere, solo con la dimostrazione dei fondamenti libidici dei tratti di carattere, la loro funzione dinamica in quanto forze produttive nella società, ma essa rappresenta, d'altro canto, il punto di inserzione di una psicologia sociale che dimostri che i tratti di carattere medi, tipici per una certa società, sono a loro volta condizionati dalla natura di questa società. Questo influsso sociale sullo sviluppo del carattere avviene in primo luogo mediante quello che è il mezzo per eccellenza in cui si attua la formazione psichica del singolo nel senso voluto dalla società: nella famiglia. In qual modo e con qual forza in un fanciullo siano sottomesse, o stimolate, certe pulsioni pregenitali, in qual modo egli sia spinto verso sublimazioni o formazioni reattive, dipende essenzialmente dall'educazione, che a sua volta deriva dalla struttura psichica della società. Ma anche dopo la fanciullezza la società agisce sulla formazione del carattere. Per quei tratti di carattere che sono i più utili all'interno di una determinata struttura economica e sociale oppure all'interno di una determinata classe, per quei tratti che favoriscono al massimo un individuo all'interno di una certa società sussiste qualcosa che potremmo definire un «premio sociale» e che fa in modo che il carattere dell'uomo «normale», cioè che viene considerato «sano» in questa società, si adatti alla struttura della società stessa. Il carattere si sviluppa nel senso dell'adattamento della struttura libidica — prima mediante il mezzo della famiglia e poi direttamente nella vita sociale — alla struttura sociale esistente e storicamente determinata. Un ruolo del tutto particolare svolge la morale sessuale della società. E' stato dimostrato che le pulsioni pregenitali confluiscono in gran parte nella sessualità genitale. Nella misura in cui in una certa società la morale sessuale dominante proibisce la soddisfazione genitale, deve aver luogo un rafforzamento delle pulsioni pregenitali oppure dei tratti di carattere da loro costituiti. Inasprendo la proibizione delle soddisfazioni genitali si ottiene il riflusso della libido sulle posizioni pregenitali e compaiono vistosamente tratti di carattere orali e anali nella vita sociale.

Poiché i tratti di carattere sono radicati nella struttura libidica, mostrano anche una relativa stabilità. Essi si formano nel senso dell'adattamento ai rapporti economici e sociali dati, ma non scompaiono con la stessa rapidità con cui si trasformano questi rapporti. La struttura libidica, da cui si originano, ha una certa inerzia e vischiosità, e c'è bisogno di un processo di adattamento — un processo di lunga durata — alle nuove condizioni economiche, fino a quando non si verifichi una trasformazione corrispondente della struttura libidica e dei tratti di carattere che ne derivano. Ecco un motivo per cui la sovrastruttura ideologica, che si basa sui tratti di carattere tipici di una società, si trasforma più lentamente dell'infrastruttura economica.

L'applicazione della caratterologia psicoanalitica ai problemi sociologici deve essere presa in esame attraverso un esempio concreto. Si tratta tuttavia di un'indicazione della strada da percorrere e non pretendiamo di dare soluzioni definitive in merito alla questione che abbiamo prescelto a mò di esempio.

Il problema dello «spirito» del capitalismo e dei fondamenti psichici della società borghese sembra essere particolarmente indicato a tale scopo per due ragioni: in primo luogo poiché la parte della caratterologia psicoanalitica che massimamente dovrà esser utilizzata per la comprensione dello spirito borghese, la teoria dei tratti di carattere anali, è quella relativamente più dettagliata e più sicura; inoltre, poiché su questo problema esistono una letteratura e una disputa sociologica di proporzioni relativamente ampie, che sollecitano l'apporto di un nuovo punto di vista, cioè di quello psicoanalitico.

Per «spirito» del capitalismo o della società borghese intendiamo la somma dei tratti di carattere tipici per gli uomini di questa società, ragion per cui un'importanza decisiva spetta alle pulsioni libidiche che sono rappresentate da questi tratti di carattere (cioè alla funzione dinamica del carattere). Il carattere ha per noi un'accezione molto ampia, e la definizione che dà Sombart dello «spirito» di un'economia in complesso potrebbe esser impiegata anche da noi. Egli chiama «spirito» di un'economia «l'insieme di qualità spirituali che hanno rilevanza nell'agire economico: tutte le manifestazioni dell'intelletto, tutti i tratti di carattere che vengono alla luce nelle operazioni economiche e inoltre tutti gli obiettivi, tutti i giudizi di valore, tutti i principi da cui è determinato e regolato il comportamento dell'uomo economico». In quanto, però, non si tratta soltanto dello spirito dell'economia in senso stretto, bensì dello «spirito» della società o di una classe, non ricercheremo unicamente i tratti che hanno importanza «nell'agire economico», ma indagheremo le qualità psichiche tipiche dell'individuo di una classe o di una società prescindendo dal fatto che egli operi in modo economico oppure no. Inoltre ci differenziamo dal concetto di «spirito» proprio di Sombart, in quanto per noi non contano «i principi, i giudizi di valore» ecc. come tali, ma i tratti di carattere, di cui quelli sono espressioni razionalizzate.

Vogliamo mettere da parte completamente quelli che sono i rapporti dello spirito borghese con il protestantesimo e con le sette protestanti. Questo problema è così complesso che anche una sua rapida trattazione in questa sede porterebbe troppo lontano. Tanto meno può essere toccata la questione delle cause economiche della società capitalistica. Da un lato, ciò esulerebbe dall'ambito di questa nostra trattazione; dall'altro, trascurare temporaneamente taluni aspetti di un problema è metodologicamente lecito se si vogliono descrivere e indagare le peculiarità del «carattere» di una società, se si vuol ricercare in che modo il carattere, in quanto espressione di una determinata «struttura libidica» della società partecipa al suo sviluppo come forza produttiva esso stesso. Una ricerca esauriente di psicologia sociale dovrebbe partire dalla presentazione dei fatti economici per dimostrare come la struttura libidica si adatta a questi fatti. Infine non possiamo occuparci della questione storica, molto complessa e controversa, concernente la datazione degli inizi del capitalismo e dello spirito capita- listico-borghese. Si deve partire piuttosto dalla constatazione che esiste un tale spirito dotato di certi tratti omogenei, senza stare a chiederci se lo incontriamo già in epoca assai precoce — come ritiene Sombart — sullo scorcio del XIV secolo a Firenze, o nell'Inghilterra del XVII secolo, o in Defoe, in Benjamin Franklin, in Carnegie o in un commerciante tedesco medio del XIX secolo.

La natura dello spirito capitalistico-borghese si può descrivere negativamente con la massima facilità, in base a quei caratteri di cui esso è sprovvisto a differenza dello spirito precapitalistico, per esempio di quello del medioevo: la felicità e la gioia di vivere non sono più per la psiche borghese un obiettivo postulato come cosa ovvia e a cui l'azione, e specialmente l'azione economica, sia subordinata.

E, questo, sia che si tratti della gioia di vivere tutta mondana e propria delle costumanze aristocratiche della classe feudale, oppure della «beatitudine» che la chiesa prometteva alle masse, o anche di quella certa gioia che le masse godevano assistendo a feste sfarzose, ammirando edifici suntuosi e spettacoli, partecipando a varie festività. L'esigenza di felicità, di beatitudine, di gioia, o come altrimenti si voglia dire, è sempre un diritto imprescrittibile dell'uomo e lo scopo evidente del comportamento economico ed extraeconomico.

Lo spirito borghese apporta un mutamento decisivo e da non sottovalutare; la felicità cessa di essere lo scopo ovvio della vita, e qualcos'altro prende il primo posto nella scala dei valori: il dovere. Kraus sottolinea questo punto come una delle differenze più importanti fra l'atteggiamento cattolico-scolastico e quello calvinista: «Ciò che distingue rigorosamente l'ethos del lavoro di Calvino da quello della scolastica è il venir meno della posizione di uno scopo e il rilievo dato a un'ubbidienza formale alla propria vocazione, cui è del tutto indifferente il materiale sul quale essa si esercita, vocazione che, con disciplina di ferro, comanda una cosa soltanto: agire in conformità a certi principi» (p. 245). Malgrado tutta la polemica precedente con Max Weber, Kraus dichiara: «Qui ha certamente ragione Weber quando dice "che la valutazione del compimento del dovere nell'ambito delle professioni mondane come il più alto contenuto che l'autonoma attività etica possa far suo" (Weber, Raccolta di articoli sulla sociologia della religione, p. 63 segg.) era ignota alla chiesa antica e al medioevo». La considerazione del dovere (al posto della felicità o della beatitudine) in quanto valore supremo, a partire dal calvinismo, è presente in tutto il pensiero borghese, con razionalizzazioni teologiche o d'altro tipo.

Con la comparsa in primo piano del concetto del dovere assistiamo a un'altra trasformazione radicale: non si lavora più per il sostentamento (secondo il proprio stato sociale), ma possedere e risparmiare divengono — indipendentemente dal godimento di ciò che è stato acquistato — esigenze etiche o un modo di agire che è in se stesso fonte di piacere. Nella letteratura, che tratta dell'argomento è stato prodotto un materiale così vasto che possiamo limitarci a pochissimi cenni ed esempi.

Sombart cita come particolarmente rilevanti per questa nuova valutazione del risparmio alcuni passi del libro dell'Alberti sulla famiglia:

«E' si vuole (...) quanto da uno mortale inimico guardarsi dalle superflue spese». «Ogni spesa non molto necessaria non vego io possa venire se non da pazzia». «Quanto la prodigalità è cosa mala, così è buona, utile et lodevole la masseritia». «(La masseritia) nuoce a niuno, giova alla famiglia». «Sancta cosa la masseritia». «Sà tu quali mi piaceranno? Quelli i quali à bisogni usano le cose quanto basta, et non più: l'avanzo serbano; et questi chiamo io massai» (L.B. Alberti, I Libri Della Famiglia, editi da Girolamo Mancini, Firenze, 1908, citato da Sombart, op. cit., p. 140).

L'Alberti ha predicato anche l'economia delle forze: «Tre cose sono quelle le quali uomo può chiamare sue proprie (...) Adunque queste due, l'animo et il corpo, sono nostre (...) La terza quale sarà? (...) El tempo». «Et per non perdere di cosa sì pretiosa punto, io pongo in me questa regola: mai mi lascio stare in otio, fugo il sonno, né giacio se non vinto dalla strachezza (...) Così adunque fo: fugo il sonno et l'otio, sempre faccendo qualche cosa. Et perché una faccenda non mi confonda l'altra (...) la mattina, prima, quando io mi lievo, così fra me stesso io penso: oggi in che avrò io da fare? Tante cose: annoverole, pensovi et a ciascuna assegno il tempo suo: questo stamane, quello altro stasera; et a quello modo mi viene facto con ordine ogni faccenda quasi con niuna fatica (...) et poi la sera inanzi che io mi riposi racholgo in me quanto feci il dì (...) prima voglio perdere il sonno che il tempo» (Citato da Sombart, op. cit., p. 142-143).

Lo stesso spirito è proprio dell'etica puritana; lo stesso spirito ci fanno conoscere le regole di vita di Benjamin Franklin e quelle del borghese del secolo XIX.

Strettamente affine a questo atteggiamento verso ciò che è oggetto di proprietà è un altro tratto caratteristico per lo «spirito» borghese: l'importanza della sfera privata. Indipendentemente dal contenuto, che può essere di natura materiale o spirituale, la sfera privata è qualcosa di sacro e un'intrusione in essa è uno dei delitti più gravi. (Le forti reazioni affettive contro il socialismo, la cui presenza anche presso molti nullatenenti non sarebbe altrimenti comprensibile, in parte derivano dal fatto che esso rappresenta una minaccia per la sfera privata).

Quali sono i rapporti oggettuali caratteristici per lo «spirito» del capitalismo borghese?

Nel modo più evidente la morale borghese richiede la limitazione del piacere sessuale. Certo anche la morale cattolica non è favorevole al piacere, ma non c'è dubbio che la prassi di vita del mondo borghese-protestante a tale proposito è stata completamente diversa da quella preborghese. Un punto di vista come quello che trova una classica espressione in Franklin, nella sua teorizzazione delle virtù, non è solo una norma etica, ma un riflesso della prassi borghese. Franklin dice, al punto 12, sulla castità: «Godi raramente il piacere della carne, fuorché per motivi di salute o per accondiscendenza, *mai fino a stancarti o ad indebolirti e con danno della tua e dell'altrui tranquillità o reputazione» (7).

Alla svalutazione del godimento sessuale in quanto tale corrisponde la reificazione di tutti i rapporti umani nella società borghese. I rapporti degli uomini non sono più essenzialmente ispirati dall'amore, ma da considerazioni razionali. Specie i rapporti amorosi sono largamente subordinati a interessi economici. Alla reificazione caratteristica dell'epoca borghese si aggiunge l'indifferenza verso la sorte del prossimo, che è caratteristica per i rapporti degli uomini nel mondo borghese. Non che nell'epoca preborghese non vi fosse stata tale indifferenza (o vi fosse stata anche solo una minore crudeltà), ma l'indifferenza borghese ha una sfumatura particolare e specifica: la mancanza di responsabilità di ciascuno per la sorte dell'altro e la mancanza di un atteggiamento di amore per il prossimo, di un amore imperativo e incondizionato.

Questa indifferenza trova un'espressione classica nella definizione che Defoe dà dei poveri. «Per poveri intendo una quantità di gente che soffre, disoccupata a priva di mezzi, che è un inconveniente gravoso per la nazione e ha bisogno di leggi specifiche». Che la prassi del capitalismo, specie nei secoli XVIII e XIX, corrispondesse a questo modo di vedere è noto. Ma anche nella sentenza sul trust del tabacco negli Stati Uniti, che risale all'anno 1911, si può constatare la stessa mentalità. «Nel campo della concorrenza ogni individuo è stato spietatamente tolto di mezzo». Le biografie dei grandi capitani d'industria americani del secolo XIX offrono una conferma puntuale di questa asserzione. Tale mancanza di compassione non sembra affatto, alla coscienza borghese, un qualcosa di anetico. Al contrario, essa ha le sue radici in determinate rappresentazioni religiose o etiche. Al posto della beatitudine garantita a coloro che vivono nel seno della chiesa, nella concezione borghese la felicità diventa la ricompensa del dovere compiuto; una concezione questa, che si basa sulla presunzione che, nel capitalismo, chi è «capace» ha possibilità di successo illimitate. Questa mancanza di compassione del «carattere» borghese rappresenta un adattamento necessario alla struttura economica del capitalismo. Il principio della libera concorrenza e della selezione che avviene attraverso di essa richiede individui che non siano impacciati da sentimenti di compassione nell'agire economico, e determina il successo di coloro che sono meno «compassionevoli».

Nella nostra enumerazione dei tratti di carattere specificamente borghesi ce n'è uno che deve essere ancora menzionato e sulla cui importanza è stata ampiamente richiamata l'attenzione dai più diversi autori: la razionalità e l'atteggiamento calcolatore dello spirito borghese. Ci sembra che questa razionalità specificamente borghese, che non è identica con un grado elevato di comprensione razionale, coin-cide largamente con ciò che si potrebbe designare, usando una categoria meramente psicologica, come «amore dell'ordine». La biografia di Franklin è un esempio tipico di questo «amore dell'ordine» e di questa razionalità specificamente borghesi.

* * *

Abbiamo ritenuto opportuno sottolineare alcuni importanti tratti di carattere, tipici dello spirito capitalistico-borghese.

Come tratti di carattere principali dello spirito borghese abbiamo creduto di poter stabilire: la limitazione del piacere (specie sessuale) in quanto fine in se stesso e il ridimensionamento dell'amore, che vengono sostituiti dalla soddisfazione del risparmiare, dell'accumulare e del possedere in quanto scopi ultimi e assoluti, dalla soddisfazione del dovere compiuto in quanto valore supremo, dall'«amore razionale dell'ordine» e dalla mancanza di rapporti propriamente u- mani col prossimo.

Se confrontiamo questi tratti di carattere con quelli già ricordati e tipici del carattere anale, senz'altro colpisce il fatto che sembra esserci un'ampia concordanza. E se questa concordanza sussiste effettivamente, è giustificata la tesi che la struttura libidica tipica per gli individui della società borghese è caratterizzata da un rafforzamento della fase libidica anale. Una ricerca dettagliata dovrebbe offrire, in base a categorie psicoanalitiche, una descrizione abbastanza precisa dei tratti di carattere capitalistico-borghesi; inoltre dovrebbe mostrare come e in che misura questi tratti di carattere si sono sviluppati nel senso dell'adattamento alle esigenze della struttura economica capitalistica e in che misura, d'altro canto, lo stesso erotismo anale — che è il sostrato del carattere — diventa una forza produttiva che promuove l'economia capitalistica.

Sebbene non ci siamo occupati espressamente del problema riguardante la datazione degli inizi del capitalismo e dello «spirito» capitalistico-borghese, non si può evitare — affinché non nascano gravi fraintendimenti — un accenno allo sviluppo del tardo capitalismo. E' evidente che i tratti di carattere tipici per il borghese dal XIV al XIX secolo vengono meno nella stessa misura in cui tende a scomparire il tipo classico dell'imprenditore autonomo, proprietario e dirigente dell'impresa al tempo stesso. I tratti di carattere che — per esempio — favorivano in passato un com-merciante sono più nocivi che utili per il grande imprenditore del tardo capitalismo. Una descrizione e una delucidazione della psiche del grande imprenditore nell'epoca tardo-capitalistica sarebbe un altro compito a cui si dovrebbe porre mano con i mezzi della psicologia sociale psicoanalitica.

C'è un ceto sociale in cui si sono conservati i tratti di carattere borghesi fin nel tardo capitalismo: nella piccola borghesia che in paesi capitalisticamente progrediti come la Germania, per esempio, è impotente economicamente e politicamente, ma si comporta ancora secondo le vecchie abitudini dell'epoca capitalistica tipo secolo XVIII e XIX. Nella piccola borghesia odierna si possono riscontrare gli stessi tratti tipici del carattere anale come sono stati da noi definiti con riguardo al vecchio spirito capitali- stico-borghese.

Il proletariato non mostra tratti di carattere anale nella stessa misura della piccola borghesia. Poiché esso ha una posizione nel processo produttivo che rende superflui questi tratti di carattere, è evidente il motivo di tale diversità fra le due classi. Molto più difficile è la questione perché mai tanti proletari e molti piccoli borghesi che non hanno nessun capitale da amministrare e che non hanno più nulla da risparmiare presentano tratti (più o meno) anali-borghesi o ideologie corrispondenti. La ragione ci sembra essere questa: la struttura libidica, su cui riposano tali tratti di carattere, è influenzata nella vecchia direzione dalla famiglia e anche da altre determinanti culturali; essa ha una certa inerzia e si trasforma più lentamente delle realtà economiche, cui è stata un tempo adattata.

L'importanza per la sociologia di una psicologia sociale che fornisca le delucidazioni che qui si sono accennate, consiste soprattutto nel fatto che essa ci fa comprendere le forze libidiche che si manifestano nel carattere nella loro funzione specifica in quanto fattori che promuovono (o che impediscono) lo sviluppo sociale e il dispiegamento delle forze produttive. Diventa possibile dare un senso concreto e scientificamente corretto al concetto dello «spirito» di una epoca. Se il concetto dello «spirito» di una società è inteso in questo modo, anche una serie di controversie nella letteratura sociologica si dimostrano inconsistenti poiché derivano dal fatto che lo «spirito» è concepito come ideologia e non come tratto di carattere libidicamente condizionato, e che si può manifestare in ideologie molto diverse e anche contraddittorie. L'applicazione della psicoanalisi non soltanto metterà a disposizione del sociologo punti di vista utili per l'indagine di questi problemi, ma gli impedirà anche di impiegare acriticamente categorie psicologiche false.

Sull'impiego della psicoanalisi nell'indagine storica
di W. Reich

L'indagine della struttura psichica è compito della psicologia scientifica. Può essere considerata tale soltanto una psicologia che dispone dei metodi necessari per comprendere e per rappresentare la dinamica e l'economia del processo psichico. Nel mio lavoro sui rapporti tra psicoanalisi e materialismo dialettico ho cercato di dimostrare che la psicoanalisi è il nucleo dal quale si deve sviluppare una psicologia dialettica materialista. Poiché l'ideologia borghese degli scienziati suole introdurre nelle loro discipline talune distorsioni e taluni errori, la critica metodologica è impre-scindibile ai fini di qualsiasi tentativo di una psicologia dialettica materialistica. In quella sede ho escluso ogni possibilità di derivare dalla psicoanalisi una sociologia, poiché il metodo della psicologia applicato ai fatti del processo sociale deve innegabilmente condurre (come infatti ha condotto) a risultati metafisici e idealistici. Ciò mi aveva attirato pesanti attacchi da parte di psicoanalisti che praticavano una «sociologia selvaggia». Tanto chiaro mi era allora che nessun metodo psicologico poteva essere applicato ai problemi sociologici, e con tanta sicurezza invece l'altra parte asseriva che la sociologia non può rinunziare alla psicologia quando si tratti di questioni relative alla cosiddetta «attività soggettiva» degli uomini e alla formazione delle ideologie. Quando, infine, trovai una formula provvisoria che cercava di indicare alla psicoanalisi il suo posto nella sociologia, venni attaccato da Sapir con l'accusa di esser caduto in contraddizione: poiché rifiutavo l'impiego della psicoanalisi in sociologia, ma le assegnavo d'altro canto un posto determinato, non era difficile farmi un tale rimprovero.

I miei critici avevano, certo, buon giuoco. Gli uni continuavano a fare tranquillamente la loro «sociologia psicoanalitica», che poco tempo fa ha celebrato i suoi trionfi con la tesi che l'esistenza della polizia deve esser spiegata col bisogno di punizione delle masse (cfr. S. Laforgue). Gli altri liquidarono tutto il difficile problema con la tesi molto semplice (e che non costava nessuna fatica nel senso di un chiarimento delle questioni di fondo) che la psicoanalisi è una disciplina «idealistica» e che la cosa migliore da farsi è di non occuparsene affatto. Taluni critici, come per esempio Sapir, caddero in una palese contraddizione in quanto dovettero, al tempo stesso, ammettere che la psicoanalisi ha fatto una serie di scoperte fondamentali, che ha elaborato la migliore teoria sessuale, che ha scoperto l'inconscio e la repressione sessuale e, quindi, quello che è il processo psichico, ecc. La mia domanda, come sia possibile che una disciplina idealistica possa fare delle scoperte importanti, è rimasta senza risposta.

La discussione che si è avuta finora intorno all'importanza sociologica della psicoanalisi è caratterizzata dalla contrapposizione di due opinioni: l'una, che la psicoanalisi quale psicologia individuale non può spiegare ciò che è sociale; e l'altra, che essa è non soltanto una psicologia individuale, ma anche una psicologia sociale e che, quindi, è idonea a spiegare i fatti sociali. Occorre osservare che la discussione verteva intorno alle parole, senza che venisse fatto nessun tentativo di verificare le proprie tesi con dati di fatto reali. Quando io, nel 1929, ho respinto l'applicazione del metodo psicoanalitico nel campo sociale, mi basavo sulle applicazioni del metodo psicoanalitico in sociologia che fino ad allora si erano avute, da parte degli psicoanalisti, e che contraddicevano radicalmente i metodi marxisti e si rivelavano erronee. Che la psicoanalisi abbia da dire una parola importante in sociologia, era chiaro; il problema era un altro: come si potessero evitare le assurdità che si erano avute finora, e quale cammino si dovesse intraprendere per «liberare» quelle potenzialità che si intuivano ma che per il momento non erano concretamente utilizzabili. Su «Banner» avevo rifiutato l'impegno del metodo psicoanalitico in sociologia, ma nello stesso tempo, avevo trovato una formulazione provvisoria, che provocò un'accusa di incoerenza da parte di Sapir. Ho scritto testualmente:

«Queste considerazioni permettono di dire che la psicoanalisi, in forza del suo metodo, è chiamata a scoprire le radici istintuali dell'attività sociale dell'individuo e, in conseguenza della sua dottrina dialettica degli istinti a chiarire l'azione — a livello psichico — dei rapporti di produzione sull'individuo, e cioè a chiarire come si formano le ideologie nella "testa degli uomini". Tra i due punti terminali, struttura economica della società e sovrastruttura ideologica, le cui relazioni causali la concezione materialistica della storia ha inquadrato in linea di massima, la concezione psicoanalitica della psicologia dell'uomo socializzato inserisce una serie di anelli intermedi. Essa può dimostrare che la struttura economica della società non si trasforma direttamente in ideologie nella "testa dell'uomo", ma che il bisogno di alimentazione (che dipende, nelle forme in cui si esprime, dai rapporti economici esistenti di volta in volta) influenza, modificandole, le funzioni, di gran lunga più plastiche, della energia sessuale, e che questa azione sociale sui bisogni sessuali, mediante una limitazione dei loro obiettivi, produce sempre nuove forze produttive, sotto forma di libido sublimata, nel processo del lavoro sociale. In parte direttamente sotto forma di forza-lavoro, in parte indirettamente sotto forma di risultati altamente sviluppati della sublimazione sessuale, come per esempio la religione, la morale in generale, la morale sessuale in particolare, la scienza e così via. Ciò significa che la psicoanalisi viene a inserirsi nella concezione materialistica della storia in un punto assolutamente determinato e ad essa consentaneo: cioè là dove iniziano i problemi psicologici sollevati dalla tesi marxiana che le condizioni materiali di esistenza si trasformano in idee nella testa degli uomini. Il processo libidico è cioè secondario nello sviluppo sociale, dipende da questo, anche se interviene in maniera decisiva in questo sviluppo, dato che la libido sublimata come forza-lavoro diventa una forza produttiva».

Oggi avrei potuto dare una formulazione alquanto più chiara e non avrei presentato anche la religione e la morale come sublimazioni dell'istinto. C'era un fatto molto semplice e chiaro che allora mi colpiva, e che più tardi seppi valutare in misura molto più precisa: che, per esempio, la struttura psichica di una operaia cristiana, aderente al Zentrum od al fascismo e che non si lascia distogliere assolutamente da quella che è la sua scelta politica, deve essere di una determinata specie, che si distingue dalla struttura psichica di una operaia comunista. La sua dipendenza materiale e psicologico-autoritaria dai genitori, nell'infanzia, e dal marito, in età adulta, l'ha costretta a reprimere le sue esigenze sessuali, per cui è caduta in preda a un'ansia caratterologica (facilmente diagnosticabile) e a una paura della sessualità, che l'hanno resa incapace di intendere, soprattutto, la parola comunista dell'autodeterminazione della donna; inoltre una repressione sessuale, più o meno ampia, vincola fortemente alla chiesa e all'ordinamento borghese e rende incapaci di critica. L'importanza di questo problema risulta non solo dal fatto che vi sono milioni di donne del genere, ma ancor più dalla constatazione incontrovertibile che un tal modo di pensare non si basa sullo «istupidimento» o sull'«annebbiamento», bensì su di una modificazione di fondo della struttura umana nel senso dell'ordinamento vigente. Di fronte alla portata pratica di questo e di analoghi problemi della psicologia di massa, non ho potuto accondiscendere alle pressioni di alcuni amici marxisti perché rispondessi subito teoricamente alla critica di Sapir. (Sapir, nel frattempo, come ho sentito dire, non è più un interlocutore valido in Unione Sovietica, dato che era un seguace di Deborin, e quindi un idealista.) Le discussioni teoriche, per solito, diventano sterili se non si pongono sul terreno di problemi pratici e concreti. Si è dovuto acquisire lentamente e faticosamente, sulla scorta di singoli problemi del movimento politico, il riconoscimento dell'importanza della psicoanalisi per la lotta di classe. In effetti, questa maniera di procedere si è rivelata la più fruttuosa sia nei riguardi della critica delle teorie metafisiche all'interno della psicoanalisi, sia anche per quel che concerne l'inserimento teorico della psicoanalisi nell'indagine storica marxista.

Questo inserimento ha dovuto prender le mosse dalla precisa consapevolezza che problemi sociologici non debbono essere aggrediti con metodi psicologici. Però, nello stesso tempo, ha reso possibile — su vasta scala — dare dimensioni nuove e più feconde all'indagine marxista nella storia e nella politica grazie all'introduzione delle conoscenze raggiunte dalla psicoanalisi (non del suo metodo) in certi campi, come quello della formazione delle ideologie, dell'azione «di ritorno» dell'ideologia, ecc. Ciò sbarra, allo psicologo che non abbia una formazione sociologica, il cammino verso la sociologia, e lo costringe ad appropriarsi del metodo dell'indagine storica; e allo stesso tempo costringe l'economista a riconoscere la contraddizione in cui cade quando parla di coscienza di classe.

Se, quindi, oggi alcuni analisti mi dicono che ho mitigato le mie posizioni troppo rigide quanto all'esclusione della psicoanalisi dall'indagine sociologica, perché io stesso mi avvicino ai fenomeni di massa con «punti di vista» psicoanalitici, devo pregarli di rileggere il mio lavoro del 1929 per convincersi che questo non è esatto. Ecco che cosa ho scritto:

«L'oggetto vero e proprio della psicoanalisi è la vita psichica dell'uomo socializzato. La vita psichica della massa è presa in considerazione dalla psicoanalisi solo nella misura in cui fenomeni individuali si manifestano nella massa stessa — per esempio, il problema del capo (Führer) — e, inoltre, in quanto essa può chiarire certi fenomeni dell' "anima della massa" come angoscia, panico, sottomis-sione ecc. in base alle proprie esperienze concernenti l'individuo. Ma sembra che per la psicoanalisi il fenomeno della coscienza di classe sia difficilmente accessibile e problemi come quello dei movimenti delle masse, della politica, dello sciopero, che appartengono alla sociologia, non possano essere oggetto del suo metodo. Essa quindi non può sostituire la sociologia, né ricavare dal suo seno una teoria sociologica».

Dopo le considerazioni fatte, sarà chiaro che questi concetti sono assolutamente rigorosi e che hanno bisogno soltanto di qualche precisazione.

In ogni caso, noi non possiamo interpretare psicoanalitica- mente dei fenomeni sociali, cioè questi non possono essere oggetto del metodo psicoanalitico. Il problema della coscienza di classe una volta non era chiaro, perciò abbiamo scritto: «Sembra che...». Oggi già si possono dare formulazioni più precise.

Nel corso di ulteriori esperienze, si è visto che il primo presupposto di una concezione psicologica del problema della coscienza di classe è la netta distinzione fra il suo lato soggettivo ed il suo lato oggettivo. (Ciò era appena accennato nell'articolo pubblicato su «Banner»), Inoltre si è appurato che gli elementi positivi e le forze motrici della coscienza di classe non sono interpretabili psicoanaliticamente, al contrario le inibizioni del suo sviluppo sono da comprendere soltanto psicoanaliticamente, poiché discendono da fonti irrazionali. I miei critici sono stati e sono spesso precipitosi nei loro giudizi: quando la scienza si inoltra in un nuovo campo essa dovrà, anzitutto, mettere da parte molte vecchie idee per considerare senza pregiudizi, e con occhi vergini, le cose. E certamente nelle sue prime formulazioni potrà presentare o definire in maniera erronea questo o quel punto. Pertanto, per sviluppare una corretta psicologia marxista, si è dovuto in primo luogo farla finita con l'impiego della tecnica interpretativa psicoanalitica in campo sociologico; soltanto in un secondo tempo si è potuto stabilire quanto di razionale e quanto di irrazionale sia contenuto nella problematica della coscienza di classe, vale a dire quanto spazio si poteva dare all'interpretazione di fenomeni irrazionali. Se io, per fare un esempio, interpreto la volontà rivoluzionaria come una ribellione contro il padre, sempre e in ogni caso, anche in sede sociologica, cado nella ideologia della reazione politica; ma se io indago concretamente in che misura la volontà rivoluzionaria corrisponde ad una situazione razionale, fino a che punto la mancanza di tale volontà è irrazionale, quando la volontà rivoluzionaria corrisponde realmente ad una ribellione inconscia contro il padre ecc., allora ho fatto piazza pulita della scienza borghese «neutrale», ho svolto veramente un lavoro scientifico ed ho reso un servizio al movimento operaio e non alla reazione politica; poiché la scienza marxista altro non è che la rivelazione precisa di rapporti reali.

La chiarezza in sede metodologica — per quel che concerne l'inserimento della psicoanalisi nell'ambito dell'indagine storica — è di importanza decisiva per le risultanze di ogni ricerca. E' opportuno perciò occuparsi più dettagliatamente della critica di Fromm, da lui avanzata nel suo lavoro Metodo e compito di una psicologia sociale analitica a proposito di quel mio passo precedentemente citato, e compreso in Materialismo dialettico e psicoanalisi. Fromm scrive:

«Occorre tentar di trovare, con i mezzi offerti dalla psicoanalisi, il senso ed il motivo nascosto dei modi di comportamento così palesemente irrazionali che hanno luogo nella vita sociale, come essi si manifestano nella religione, nei costumi popolari ed anche nella politica e nell'educazione (...). Se essa (la psicoanalisi) ha trovato nella vita istintuale, nell'inconscio, la chiave per comprendere la condotta umana, deve essere pure in grado di dire qualche cosa di essenziale sui motivi di fondo della condotta sociale. Perché anche la "società" è composta da singoli individui viventi, i quali non possono essere soggetti ad altre leggi psicologiche se non a quelle che la psicoanalisi ha scoperto nell'individuo. Ci sembra perciò errato che — come fa W. Reich — si riservi alla psicoanalisi il settore della psicologia individuale e che venga assolutamente contestato il suo impiego per i fenomeni sociali, come la politica, la coscienza di classe ecc. Il fatto che un fenomeno venga trattato in sociologia non vuol dire minimamente che non possa essere oggetto della psicoanalisi (allo stesso modo in cui sarebbe inesatto dire che un oggetto, che si indaga dal punto di vista fisico, non possa esser studiato anche chimicamente). Ciò significa soltanto che il fenomeno è oggetto della psicologia e specialmente della psicologia sociale la quale deve stabilire i motivi e le funzioni sociali del fenomeno psichico, solo nella misura in cui fatti psichici svolgono un ruolo in esso».

Purtroppo Fromm ha citato solo la «pars destruens» del mio lavoro, ma non le mie precise e univoche formulazioni sul posto che la psicoanalisi deve e soltanto essa può prendere nell'indagine sociologica, al fine di mostrare come ciò che è materiale si trasforma in idea nella testa degli uomini. Che la psicoanalisi, ed essa soltanto, possa chiarire i modi irrazionali di comportamento, come quelli religiosi e mistici di ogni specie, è evidente, poiché essa soltanto è in grado di indagare le reazioni istintuali dell'inconscio. Ma ciò essa può fare nella maniera giusta, se non si limita a considerare «anche» i «fattori economici», ma se si rende conto che le strutture inconsce, le quali reagiscono in un modo così irrazionale, sono anch'esse sorte attraverso processi storici socio-economici, e che quindi in nessun caso la motivazione per mezzo di meccanismi inconsci può essere messa sullo stesso pia

no dei meccanismi economici, bensì può essere considerata soltanto come una forza che media fra l'essere sociale e le modalità di reazione dell'uomo. Ma se Fromm poi afferma che la psicoanalisi può di qualche cosa di essenziale sui «motivi di fondo della condotta sociale», poiché la società è composta di singoli individui, c'è una inesattezza nella espressione che spalanca nuovamente le porte agli abusi della psicologia, che Fromm vuole eliminare. Se per «condotta sociale» si intende il comportamento dell'uomo nella vita sociale, una contrapposizione del comportamento individuale a quello sociale non ha senso, poiché un altro comportamento che non sia sociale non c'è. Anche il comportamento che si attua nella fantasticheria è un comportamento sociale, sia che venga condizionato da fatti sociali, sia che venga contraddistinto da relazioni fantastiche con gli oggetti. Per chiarire le "ose — speriamo in maniera definitiva — dobbiamo portare avanti la critica di Fromm alla sociologia ufficiale psicoanalitica. Non si tratta di sottigliezze minime, ma di questioni abbastanza macroscopiche. C'è tutta un'ampia serie di comportamenti sociali, in cui l'intervento — già descritto e così decisivo in altre circostanze — dei meccanismi istintuali inconsci non ha incidenza sul fattore umano.

E' estremamente importante il fatto che il comportamento del piccolo risparmiatore in un tracollo bancario, per esempio, o una rivolta di contadini per la diminuzione del prezzo dei cereali non possano essere spiegati con motivi libidici inconsci e con la ribellione contro il padre. Bisogna tenere bene in mente che, in tali casi, la psicologia può dire qualcosa soltanto sulle modalità del comportamento, e non sulle cause ed i motivi di fondo dello stesso. Quello che importa è che il capitalismo non deve essere spiegato con la struttura sadico- anale, bensì è questa struttura che deve essere spiegata con l'ordinamento sessuale del patriarcato. E la società non è soltanto composta di singoli uomini (si tratterebbe, allora, di un semplice aggregato), bensì di una pluralità di individui che sono determinati nella loro vita e nel loro pensiero proprio dai rapporti di produzione, completamente indipendenti dalla loro volontà e anche dai loro istinti (ed operanti in mezzo a loro e al di sopra di loro); e in modo tale che i rapporti di produzione modificano la struttura degli istinti nei punti decisivi, come per esempio per quel che riguarda la riproduzione ideologica e strutturale del sistema economico, di cui tratteremo in seguito. Se diciamo, quindi, che noi possiamo spiegare i motivi di fondo, è assolutamente importante stabilire con precisione quali essi siano. Questo è l'essenziale, proprio ciò che ci contraddistingue dagli orientamenti — da noi avversati — delle «psicologie sociali» correnti: ci rendiamo conto dei limiti e dei condizionamenti della psicologia, e sappiamo di poter spiegare soltanto gli elementi che mediano fra la base e la sovrastruttura, soltanto il «processo di ricambio» fra natura e uomo a livello della sua rappresentanza psichica. Che noi, in questo modo, giungiamo anche a spiegare l'azione «di ritorno» della ideologia sulla base, mediante i rapporti di produzione divenuti struttura psichica, è un'altra importante e decisiva conquista.

Perché questa precisa delimitazione ha per noi un così grande interesse? Perché qui corre la linea di demarcazione fra l'impiego idealistico e quello dialettico-materialistico della psicologia in campo sociale. I risultati, che tale impiego promette, ricompensano ogni fatica sostenuta nel corso delle nostre ricerche; noi riteniamo di non poter dire nulla sui motivi di fondo del comportamento umano, che sono esterni alla sfera psichica, nulla sulle leggi economiche, che determinano il processo sociale, e nulla su quelle fisiologiche, che dominano l'apparato istintuale, senza fare subito amicizia con la metafisica.

Io devo differenziarmi su un altro punto (che si riallaccia direttamente a queste distinzioni or ora formulate) sia da Fromm, sia da altri che hanno condivìso le mie concezioni di un tempo. Fromm ritiene che la mia negazione dell'impiego del metodo psicoanalitico nell'ambito dei fenomeni sociali, come lo sciopero ecc., sia falsa. D'altro canto, da parte di alcuni amici marxisti mi è stato obiettato che il metodo psicoanalitico può essere impiegato nei fenomeni sociali, poiché esso, nelle linee fondamentali, è dialettico- materialistico. Fromm stesso asserisce che io avrei «fortunatamente» mutato il mio punto di vista nei lavori sociologici empirici. Questo non è esatto. Oggi come ieri io evito l'impiego del metodo psicoanalitico nei fatti sociali, e ciò per il motivo seguente che qui, per la prima volta, posso formulare con esattezza. E' giusto: col metodo del materialismo dialettico noi indaghiamo fenomeni sociali. E' giusto: la psicoanalisi è un metodo di ricerca dialettico-materialistico, quindi chi ragionasse secondo la logica astratta dovrebbe affermare che «logicamente» il metodo psicoanalitico può essere impiegato nei fenomeni sociali, senza recare nocumento. Qui, i miei amici cadono — senza accorgersene — in un modo di pensare astratto, logico-idealistico. Essi hanno ragione secondo le leggi della logica astratta, ma sbagliano gravemente secondo le leggi della dialettica. Sofisticherie? No, bensì un fatto semplicissimo: il metodo del materialismo dialettico è un metodo unitario, ovunque noi lo impieghiamo. Soprattutto è importante la proposizione dell'unità dei contrari, della trasformazione della quantità, in qualità ecc. E tuttavia una è la dialettica materialista nella chimica, un'altra nella sociologia ed ancora un'altra nella psicologia. Perché il metodo di indagine non sta tra le nuvole, bensì è determinato nella sua particolare natura dall'oggetto al quale viene applicato. Proprio qui si vede quanto sia esatta la tesi dell'unità di pensiero ed essere. Non si può, perciò, scambiare la dialettica materialistica del metodo sociologico con la dialettica del metodo psicologico. Chi crede che si possano risolvere correttamente problemi sociologici con metodo psicoanalitico, lo vogliano o no, sostiene anche che si possa spiegare il capitalismo mediante i metodi dell'analisi chimica. Si tratterebbe sempre dello stesso tipo di argomentazione, come quando si riconosce la validità del metodo psicoanalitico per i fatti sociali; poiché il processo sociale ha indubbiamente a che fare sia con l'uomo che con la materia. Se si può quindi fare un'indagine psicologica, perché non farne anche una chimica? Con questo esempio si vede dove potrebbe portare il punto di vista di Fromm, se lo si seguisse fino in fondo con coerenza.

Fromm ha torto quando afferma che gli analisti sono giunti a risultati erronei in campo sociologico perché essi, nella sociologia, hanno deviato dal metodo analitico. No. Essi sono stati completamente conseguenti nell'impiegare il metodo dell'interpretazione di certi contenuti psichici, nel ricondurre i fenomeni psichici a meccanismi istintuali inconsci a proposito di fenomeni sociali come l'organizzazione capitalistica o la monogamia. E proprio per questo hanno sbagliato, perché la società non ha nessuna psiche, nessun inconscio, nessun istinto, nessun super-io, come Freud ha scrittto il II disagio nella civiltà: in tal modo i fatti reali, da cui dipende ogni impiego specifico della dia-lettica materialista, sono stati trasferiti nell'ambito di processi eterogenei dove essi oggettivamente non si riscontrano, e così ne deriva un non senso. Non è vero nemmeno come ritiene Fromm che lo stesso identico oggetto possa essere indagato contemporaneamente dal punto di vista chimico e fisico. La fisica non può determinare la composizione chimica e la chimica non può determinare la velocità di caduta; in effetti vengono indagate con metodi diversi, che sono ambedue dialettico-materialistici, funzioni o proprietà diverse dello stesso oggetto.

Lo stesso discorso vale per la sociologia. Spiegare lo stesso fatto sociale in termini psicologici e sociologico-economici è quello che possono fare certi equilibristi della scienza di un certo tipo ben noto. Questo è eclettismo della peggiore specie. Indagare le diverse funzioni dello stesso fenomeno con i metodi ad esse corrispondenti e riconoscere il reciproco coordinamento e la reciproca dipendenza di queste funzioni significa applicare il materialismo dialettico. Perciò se Fromm ritiene che la psicologia sociale indaga «i motivi di fondo e le funzioni sociali del fenomeno psichico», questo non è esatto. Un esempio: il motivo di fondo sociale e la funzione sociale della religione, della morale ecc. derivano, sociologicamente ed econòmicamente, da un rapporto di classe, dai rapporti di produzione operaio-capitalista; questi sono determinati dalla proprietà privata dei mezzi di produzione, dalla differenza tra valore d'uso e valore di scambio della merce forza-lavoro quindi da categorie sociologiche. Questi rapporti di produzione si ancorano per opera della classe dominante, nelle strutture psichiche dei membri della società, in particolare della classe subalterna, modificando la struttura di quest'ultima con l'ausilio di particolari istituzioni come la famiglia, poi la scuola, la chiesa, ecc. e configurandola come un qualcosa di cronico che reagisce in maniera tipica. Inoltre, prendiamo in esame un fenomeno socio-psicologico come il rapporto padre-figlio nei suoi due aspetti di soggezione e di ribellione contro l'autorità, rapporto che si basa, in primo luogo, su un fondamento economico e, in secondo luogo, su un atteggiamento emotivo irrazionale. Secondo l'opinione ufficiale della psicoanalisi questo legame emozionale crea il rapporto padre-figlio, e quindi il fenomeno di una situazione autoritaria, per esempio fra capitalista ed operaio, mentre in realtà questa situazione autoritaria esiste a causa dei rapporti di classe prima ancora che per ragioni affettive. L'indagine condotta col metodo economico-sociologico porta alla scoperta dei rapporti di classe.

L'indagine con i mezzi della psicoanalisi porta alla scoperta di ciò che è di sua competenza, e non alla spiegazione delle funzioni sociali, bensì soltanto dei loro ancoraggi psichici. Se si procede inversamente e si tratta il rapporto tra diversi individui di due classi come un rapporto di due istanze psichiche nello stesso identico uomo, si deve arrivare (pur con le migliori intenzioni di questo mondo) alla opinione che una volta un eminente analista ha espresso davanti a me, e che cioè la borghesia è il super-io, il proletariato l'Es dell'organismo sociale, e che la borghesia adempie soltanto la funzione del super-io che è quella di tenere a freno l'Es. Sono convinto che Laforgue è un'ottima persona, tuttavia doveva necessariamente pervenire alla conclusione che la polizia si spiega con il bisogno di punizione delle masse, poiché egli esamina dal punto di vista psicologico la polizia in quanto istituzione sociale e non la sua azione psicologica sulla classe subalterna.

In diversi lavori empirico-sociologici ho applicato in sociologia i risultati della psicoanalisi senza discutere in modo particolare i problemi del metodo. Adesso li voglio chiarire con un esempio.

Lo sciopero è un fenomeno sociologico nella fase capitalistica dello sviluppo sociale. La sociologia marxista esamina i processi che conducono ad uno sciopero, in quanto studia i rapporti di produzione fra operaio e capitalista e la legge dell'economia capitalistica per cui la merce forza- lavoro viene comprata ed usata dal possessore dei mezzi di produzione come ogni altra merce; tale sociologia trova anche altre leggi economiche per cui la concorrenza tra gli imprenditori provoca la riduzione del salario, al fine di elevare il tasso del profitto, ecc. Lo sciopero si realizza però con la volontà e la coscienza degli operai e ciò vuol dire che il fatto sociologico trova una precisa espressione a livello psichico. Quindi la psicologia non può non avere qualcosa da dire, ma in che modo deve far sentire la sua voce? Perché è proprio dalla risposta a questa domanda che dipende il contenuto di ciò che essa asserisce. E' chiaro che l'analisi dell'inconscio di uno o più scioperanti non dirà nulla sullo sciopero come fenomeno sociale e sui suoi «motivi di fondo» e, nemmeno, sui motivi che hanno mosso gli operai a partecipare allo sciopero. Se noi cerchiamo di capire ciò che è comune a questi operai, quindi se facciamo psicologia sociale, non potremo dire nulla sui motivi per cui c'è sciopero, perciò la psicologia sociale non spiega lo sciopero. Infatti la scoperta di conflitti infantili degli operai con il padre e la n\adre non ha nulla a che fare con lo sciopero attuale, ma soltanto — ed è ciò che dobbiamo tenere ben presente — con il comune ambito storico-economico (struttura capitalistica della società fondata sull'economia privata), nel quale si verificano sia lo sciopero che i ben noti conflitti fra genitori e figli. Se si cerca di utilizzare per la spiegazione del fenomeno «sciopero» gli elementi ricavati dall'analisi dell'operaio si arriva alla conclusione che lo sciopero è una rivolta contro il padre. In tal modo si pongono sullo stesso piano lo «sciopero» e il «comportamento psichico nello sciopero».

Ma questa differenza è decisiva. La si trascura per poca chiarezza metodologica o per motivi reazionari consci o inconsci, poiché l'interpretazione sociologica porta a conseguenze diverse che non quella psicologica; l'una porta al riconoscimento delle leggi della società classista e l'altra alla loro occultazione.

Lo sciopero può risultare presente nel lavoro psichico dell'inconscio, per esempio durante un sogno in cui lo sciopero figura come un resto diurno; è degno di nota che ciò si verifica molto più raramente di quel che avvenga per altri fatti provenienti dalla sfera sessuale. Ma spiegare lo sciopero partendo da questa circostanza conduce alle stesse posizioni di Roheim, il rappresentante ufficiale dell'antropologia psicoanalitica, che tratta delle culture primitive sulla scorta dei sogni dei primitivi invece di spiegare ilcontenuto conflittuale dei sogni sulla base delle culture primitive.

Con la psicologia noi riusciamo ad intendere il comportamento dell'operaio durante lo sciopero, e non lo sciopero stesso. Però nella misura in cui il comportamento dell'operaio determina l'esito dello sciopero, «svolgono un ruolo preciso anche i fattori psichici». E' tuttavia una cosa ben diversa, quando ci troviamo davanti al fatto che proprio la situazione socio-economica dovrebbe far maturare uno sciopero, ma questo non avviene. In tal caso l'indagine sociologico-eco- nomica fallisce, se vuole una correlazione storico-economica diretta, perché qui il corso di un processo sociologico è stato disturbato da un elemento estraneo. Questoelemento estraneo è un fatto psicologico (attinente alla psicologia sociale ovvero alla psicologia di massa), per esempio la mancanza di fiducia da parte degli operai verso i promotori dello sciopero, verso i propri dirigenti, l'ascendente del sindacalista riformista che sabota lo sciopero, o la paura paralizzante nei confronti dell'imprenditore. In altri casi può essere decisiva la paura delle difficoltà materiali che si incontrano durante lo sciopero. Però pure questo comportamento, che naturalmente ha un influsso decisivo sul corso della lotta di classe deve essere spiegato non soltanto direttamente in termini psicologici, ma anche indirettamente in termini sociologici. Perché la soggezione nei confronti del dirigente sindacale riformista è essa stessa il risultato, in ultima analisi, di un determinato rapporto sociologico; in un caso può trattarsi del motivo superficiale della paura del licenziamento, in altri casi può trattarsi di un motivo più profondo, di una paura di ribellarsi all'autorità, paura che discende dai legami infantili con il padre. Ma da dove hanno origine i legami con il padre e l'angoscia autoritaria? Sempre e soltanto dalla situazione familiare, la quale essa stessa ha una sua ragion d'essere socioeconomica. Quando parliamo dell'impiego della psicologia, quello che conta è sempre l'individuazione di elementi intermedi, più o meno numerosi, fra il processo economico e l'azione dell'uomo in questo processo. Quanto più il comportamento è razionale tanto più ristretto è il campo di indagine della psicologia dell'inconscio; quanto più è irrazionale, tanto più ampiamente la sociologia ha bisogno dell'aiuto della psicologia. Ciò è vero, prima di tutto, per quel che concerne il comportamento delle classi oppresse nella lotta di classe. Che un operaio o tutta la categoria degli operai industriali tendano ad adeguare la forma di appropriazione alla forma di produzione, non ha bisogno di nessun chiarimento se non del corollario che essi seguono le leggi elementari del principio del piacere e del dispiacere.

Ma che la classe oppressa, in larghi strati, accetti o promuova lo sfruttamento in questa o in quella forma, si può spiegare direttamente solo in termini psicologici e indirettamente, mediatamente in termini sociologici. Che, fino ad ora, la sociologia analitica abbia proceduto in senso contrario, che abbia tentato di spiegare la ribellione dal punto di vista psicologico e abbia accettato la condotta delle masse come un dato che non ha bisogno di nessuna delucidazione, dipende dal suo modo di intendere il principio della realtà, secondo cui negli adulti il principio del piacere è sostituito dall'adattamento alle esigenze della realtà. Ma alla realtà appartiene non soltanto la legge capitalistica dello sfruttamento, bensì anche la consapevolezza di questo, che è la consapevolezza di una sofferenza e perciò provoca un non adattamento. Il punto di vista ufficiale della psicoanalisi qualifica il non adattamento come un com-portamento infantile irrazionale. A questo punto il contrasto è a livello ideologico.

Certamente noi non neghiamo, come fanno gli avversari, il nostro punto di vista politico. Ma noi ben sappiamo che la differenza tra queste scelte politiche consiste nel fatto che una interpreta psicologicamente come proprietà della natura umana ciò che è da spiegare sociologicamente ed economicamente e non vede quel che dovrebbe spiegare, cioè l'inibizione, dello svolgimento del processo sociologico, deviando così non una, ma due volte dalla realtà; al contrario l'altra scelta politica non esclude nulla, proprio nulla, dal raggio d'azione delle capacità umane di conoscenza, e vuole riportare tutto nell'ambito della scienza per giungere— con l'impiego del metodo del materialismo dialettico in tutti i campi — ad una Weltanschauung scientifica e per rendere superflua la filosofia in quanto questa finora è la scienza del non conosciuto.

Riassumendo risulta che l'impiego (consapevole o meno) del materialismo dialettico nel campo della psicologia fornisce i risultati clinici della psicoanalisi e l'impiego di questi risultati nella sociologia e nella politica conduce ad una psicologia sociale marxista, mentre l'impiego del metodo psicoanalitico ai problemi della sociologia e della politica deve condurre alla fine ad una sociologia metafisica, psicologizzante e inoltre reazionaria.